Reparti nascite dell'Ospedale Grassi di Ostia e del San Camillo. Vandalismi ignobili sponsorizzati dal Corriere della Sera

4 settembre 2015









La Camorra e la Mafia le combatti con la magistratura e con i Carabinieri e a volte riesci per fino a sconfiggerla, la storia di questo paese negli ultimi 50 anni lo dimostra in parte. Questo genere di manifestazioni, invece, non c'è poliziotto che tenga. E il danno di far nascere delle persone in questo contesto regalandogli un ambiente degradato, prepotente, cafone e sozzo a partire dalle prime ore di vita è semplicemente incalcolabile.
Periodicamente pubblichiamo queste immagini in modo da non dimenticarci come sono ridotti i reparti nascite degli ospedali romani. A nostro modo di sapere non esistono altre città italiane in cui il libero sfogo dei cafoni (e l'umiliazione delle persone per bene, costrette in questo schifo) è lasciato impunito in questo modo. Ovviamente solo nella sanità pubblica, pagata da tutti (e non da loro: se pagassero le tasse non si permetterebbero di imbrattare ciò che hanno contribuito a realizzare). Chissà se questi coragiossi neopapà si permetterebbero di fare lo stesso in una clinica privata. Dimostratela, la vostra spavalderia, contro qualcuno che vi risponde a tono. Vediamo se ne siete capaci. Facile contro gli enti pubblici, incapaci e conniventi...


Supplemento culturale "la Lettura" del «Corriere della Sera» del 30 agosto 2015

Il muro dei neonati di Francesco Piccolo
Tutte le attività umane, grandi o piccole che siano, urgenti o banali, utili o inutili, sono un tentativo maldestro di fermare il tempo. Un modo per dire io ci sono, ci sono stato, sono passato. Quando poi ci si trova di fronte a eventi assoluti, come la nascita di un nuovo essere umano, questa necessità di testimonianza è autorizzata, in sintonia con il passaggio cruciale. Quindi, la domanda sbagliata da fare di fronte a queste scritte che da anni stanno ricoprendo l’intero reparto di ostetricia dell’Ospedale San Camillo a Roma, è: perché? 
Partiamo da una prima questione, banale certo, ma che è alla base di tutto questo: l’evento è normale ed eccezionale. Basta assumere i due punti di vista all’interno della sala parto: per una madre che partorisce (e per il compagno, i parenti, gli amici) è un fatto epocale, che cambierà la vita, anche quella quotidiana – soprattutto quella; le notti insonni, non ho abbastanza latte, avrà ancora fame, perché sta piangendo – e poi via via: dovremmo essere più severi, saranno gli ormoni, questa casa non è un albergo, con altre notti insonni in attesa del ritorno notturno dell’adolescente mentre si continua a controllare l’ultimo contatto su WhatsApp e così via, anno dopo anno. Poi basta assumere il punto di vista di chi sta accanto alle madri mentre devono respirare a fondo in attesa della prossima spinta, cioè dell’ostetrico: ordinaria amministrazione, serialità, mamma a posto fuori e dentro la prossima mamma, questo è nato quest’altro è nato quest’altro pure, però dite ai parenti di entrare in stanza non più di due alla volta. E – ancora – basta mettere a confronto la responsabile del nido, che si muove sicura tra culle e respiratori mentre il padre piange dicendo che è incredibile come un essere appaia così all’improvviso nel mondo e quella che ne gestisce venti, di neonati, intanto sta pensando a quando esce dal lavoro, al latte parzialmente scremato che è quasi finito e alla borsa da fare per la palestra. 
Il reparto di ostetricia di qualsiasi ospedale del mondo è così, una comunicazione impari tra l’emozione e la freddezza, tra l’irrazionalità e la razionalità. Gli emozionati hanno bisogno dei freddi per far accadere le cose, e poi vogliono rompere quel muro costruito apposta per far funzionare il mondo. Esigono che i medici siano un po’ sconvolti dall’eccezionalità dell’evento di quel figlio irripetibile. I medici pazienti fanno finta che sì, è vero, è senz’altro irripetibile, ma sanno che la loro forza, la loro utilità sta non nell’indifferenza, per carità; bensì nella distanza. 
Quindi come si fa per violare con un’onda emotiva questa diga di scientificità? Al San Camillo di Roma si è trovata la soluzione. 

Qui tutto ruota intorno al tempo: quello trascorso finora dalla notizia della gravidanza, e più prepotentemente il tempo trascorso dal primo desiderio di avere un figlio. Il tempo che sarà segnato per sempre (la data di oggi – le date sono quasi sempre presenti a testimoniare il passaggio di chi scrive sui muri) come il giorno della nascita; e soprattutto, ora, il tempo che bisogna trascorrere qui fuori, in attesa che accada quel che deve accadere. Quindi a volte i padri – ma ora spesso i padri sono dentro –, i fratelli, gli zii, i nonni... Tutti lì fuori ad aspettare che l’evento si compia, e quindi le scritte che pian piano hanno riempito l’esterno, gli interni, le scale, persino i vetri separatori, sono di chi attende, di chi chiede di spingere di più per uscire, di chi ha appena avuto la notizia della nascita, e a volte anche del giorno dell’uscita (mamy e papy dicono che sei il regalo più bello della vita). 
Si può dire: ma anche al tempo dei social? Certo: questi muri sono una versione in rilievo dei social. Non virtuali, ma è lo stesso. Infatti svolgono la stessa funzione e usano lo stesso linguaggio. Chi scrive «benvenuto bello de zia», potrebbe digitare o sta digitando sul cellulare una frase identica. La comunicazione è esattamente la stessa: il gruppo qui è composto da tutti quelli che hanno vissuto questa esperienza in questo luogo preciso, da tutti quelli che la stanno vivendo, da tutti quelli che la vivranno. È l’esigenza di dire: io ci sono nel mondo, anche come zia, e nel mondo adesso c’è anche mio nipote, ve l’ho detto, ricordatevelo, o dimenticatelo pure, non importa, ma io l’ho detto, c’è testimonianza, si può trovare sulla mia pagina Facebook e sui muri di questo ospedale, se intanto che anche voi sarete qui ad aspettare vi metterete a leggere, nell’attesa, i messaggi di altri. E pian piano vi trasformerete: all’inizio penserete ma che stupidaggine, ma si possono imbrattare i muri di questi annunci scontati, che inciviltà, ma chi se ne frega che sono nati in questi anni Patrizio, Beatrice, Khadim, Thomas e tutti gli altri; e poi questa lettura vi coinvolgerà per similitudine dei destini e delle sensazioni, vi sentirete parte di qualcosa perché quelle cose semplici e scontate che hanno provato gli altri sono le stesse che sentite voi, e così è inevitabile sentirsi parte di una comunità ampia ma speciale, universale ma specifica di persone che attendono la nascita di un essere umano che già si ama, qui, al San Camillo, e allora alla fine si sente la stupidità di sottrarsi, lo snobismo inutile di non lasciare traccia di sé, e che ci vuole, si prende un pennarello e si cerca un angolino libero e si scrive «spingi, ti sto aspettando, daje», e poi «è nato, benvenuto, Rocco c’è, amore de zia». 
Il fatto più evidente, qui al reparto di ostetricia, è che il reparto in sé non è sufficiente a raccontare la sua portata simbolica, la sua retorica di vita. In fondo, basta arrivare qui davanti e guardare negli occhi le persone in attesa – in altri reparti dello stesso ospedale ci sono altre persone in attesa, ma l’angoscia e la speranza hanno percentuali proporzionate in modo inverso; qui invece c’è una spinta verso il futuro, una fibrillazione certo preoccupata, a volte angosciata, ma galleggia un’emotività tutta positiva, gli occhi lucidi sono febbrili, le persone che si toccano il braccio sorridono, si dicono senza dirsi: stiamo producendo futuro. È un evento appunto quotidiano (tutti producono futuro) e allo stesso tempo gigantesco (sì, è vero che tutti producono futuro, ma qui dentro, in uno spazio preciso, c’è il compito unico di produrlo, nella sostanza non si fa altro). Eppure non basta. La scritta «prima e seconda divisione di Ostetricia e Ginecologia» non è sufficiente a montare la portata simbolica di questo pezzo di ospedale – di ogni reparto identico in ogni ospedale del mondo. Evidentemente non basta, almeno qui a Roma non lo si ritiene sufficiente. Quelli che hanno cominciato a scrivere sui muri – tendiamo a dimenticarlo vedendo questa quantità infinita di scritte, ma c’è stato un primo e un secondo e un terzo che lo ha fatto – hanno sentito che stare davanti a questo reparto e aspettare un evento che produce futuro nella propria vita, andava sottolineato e fermato personalmente, in un modo che riguardava la comunità ma in particolare se stessi e la propria famiglia. E poi, a mano a mano, questa imposizione di particolarità, accumulandosi, ha rimesso in gioco l’intera comunità, perché adesso le scritte sono migliaia e migliaia e quindi non si riesce più a isolarle per davvero, ma compongono un quadro generale dell’umanità che ha prodotto un futuro molecolare in questo specifico ospedale.

Infine, c’è la vita là fuori. C’è il futuro che si compie. Quando un genitore scrive con caratteri giganti «Rocco c’è», poi, mentre negli anni altri leggono inevitabilmente che Rocco c’è, Rocco c’è davvero, cresce, diventa un individuo autonomo, produce sentimenti, pensieri, chiacchiere, allegria e dolore; e poi comincia a produrre futuro. Anche Rocco, come gli altri, avrà la tentazione di fermare il tempo, sui banchi di scuola, negli ascensori, sul tronco di un albero, e perfino sui muri di un monumento, perché alle persone non basta che il Colosseo abbia fermato il tempo, ma vogliono fermare il proprio tempo nel momento in cui sono state al Colosseo. Poi, a seconda del loro grado di consapevolezza del mondo (che chiamiamo civiltà) si tratterranno o si lasceranno andare, o si concederanno una monelleria. E forse, chissà, anche Rocco si troverà a camminare nervoso qui davanti, ad aspettare, a leggere i messaggi di molte generazioni, a pensare forse: ma perché lo fanno, e poi a rifarlo per testimoniare agli altri – ma soprattutto a se stessi – la felicità. 
Ecco, è questo il pensiero che arriva qui davanti: si leggono i nomi di neonati appena arrivati nel mondo, e li si immagina un giorno che saranno proprio loro a venire di nuovo a scrivere qua. Chissà perché viene in mente questo. Forse è un pensiero che prova a tenere insieme il più possibile il mondo, a pensarlo con una larghezza visibile, che possiamo contenere e comprendere. Forse questo serpentone infinito di testimonianze gratuite può fermare il tempo. O più probabilmente no, ma che importa.

Naturalmente queste cose si interrompono non per sanzioni o multe (difficile comminare pene per una scrittina in un muro), ma per Finestre Rotte e condanna sociale. Le finestre rotte prevederebbero una pulizia immediata del singolo sgorbio, che invece non si fa. Sulla condanna siamo non a zero ma sottozero se è vero come è vero che il primo giornale del paese può permettersi di pubblicare immondizie simili con tanto di video con musica d'atmosfera. Se noi scriviamo che un cittadino ha fatto bene a prendersela con un cartellone abusivo e pericoloso ci danno 9 mesi di reclusione per istigazione al danneggiamento, se il Corriere della Sera fomenta chi devasta beni pubblici con clamorosi danni morali e economici è una istanza intellettuale...





















Partecipazione, bene comune, senso civico. 3 falsi miti da sfatare


Oltre ad essere scadente, incoerente, ripetitivo, inconcludente, giustificazionista, superato di almeno trent'anni, disattento, spocchioso, ignorante e impreparato, il dibattito "civico" nella nostra città presenta anche dei tic che è bene, una volta per tutte, smontare.

Già il discorso sulla città è inesistente o fa schifo, se poi lo infarciamo di frasi sfatte e di concetti vuoti è davvero la fine. Nella solita insufficiente manciata di secondi radiofonici abbiamo abbozzato questo ragionamento ospiti, ieri mattina, a Radio Anch'io, una delle trasmissioni radio più seguita delle terre emerse. Dopo un dibattito tra Sabella, Marchini, Esposito e quant'altri, il dibattito ha pericolosamente virato verso il "senso civico" e i curatori di Radio1 forse proprio per quello ci avevano chiamati: per confermare che a Roma c'è poco senso civico, o per segnalare come un bel grumo di senso civico si stia coagulando attorno al nostro blog. Abbiamo invece cercato di impostare la cosa in maniera molto diversa, cercando di smontare i falsi miti e gli equivoci che aleggiano attorno a tre pericolosi concetti. Sono tre concetti belli, alti e nobili, ma che nella pozzanghera romana vengono strumentalizzati. Lo sarebbero anche a Parigi o a Berlino se non si garantisse una sorta di 'presidio' istituzional-amministrativo, ma tant'è. Da noi, fintanto che i prepotenti avranno la meglio sulle persone per bene e rispettose del prossimo e della città, anche le robe serie e fondanti vengono trasformate in grimaldelli a fin di male. E allora eccoli i tre miti da sfatare.


1. SENSO CIVICO
E' una cosa complessa. Molto amplia. Non necessariamente attiene al fatto di "fare" qualcosa di concreto. Anzi. Quella è più protesta, quella è più una forma di manifestazione. Tra l'altro una manifestazione (quella di pulire la città, intendiamo, sostituendosi a chi dovrebbe farlo per mestiere, profumatamente foraggiato dalle tasse versate) che ha molto più senso quando si pulisce sotto casa di altri (Retake) piuttosto che quando si pulisce sotto casa propria (Gassmann). Senso civico è anche essere preparati, informarsi, capire cosa succede, criticare e proporre solo se si è approfondita una partita, un argomento. Altrimenti tacere, per evitare di aggiungere confusione a confusione. Ma il senso civico è terrificantemente sopravvalutato: "eh ma manca il senso civico" è la giustificazione perché alcune cose non funzionano, quando non funzionano semplicemente perché non ci sono adeguati controlli e sanzioni. Le persone che salgono sull'autobus senza pagare non lo fanno per assenza di senso civico, lo fanno perché siamo tra le poche città al mondo dove si può entrare senza pagare. Metti questo sistema anche a Zurigo e nel giro di sei mesi neppure gli svizzeri pagheranno più il ticket, così come, di converso, metti un cafone romano a Londra e vedrai che pagherà tutto il dovuto fino all'ultimo penny.


2. BENE COMUNE
Altro appello che si fa ad ogni spron battuto è quello del bene comune. Giusto, bello, già. Peccato perché che sotto questo label si sono nascosti e si nascondono migliaia di farabutti che considerano qualsiasi cosa gli interessi bene comune e con questa scusa se ne impossessino ai danni della collettività, ai danni dei legittimi proprietari e ai danni della "concorrenza". Questa idea secondo cui se rubo un immobile e ci faccio una palestra con tariffe più basse (ovvio, non devo pagare l'affitto, non devo pagare le tasse, non devo pagare le bollette) sto facendo un servizio in nome del bene comune è da spazzare via.


3. PARTECIPAZIONE
Peggio mi sento. Giù appelli alla partecipazione. I romani partecipano poco. I romani dovrebbero partecipare di più. Ma che iddio ce ne scampi e gamberi! In questa fase storica purtroppo la popolazione di qualità è in altre faccende affaccendata o è ampiamente e felicemente emigrata in città più dignitose. E' rimasta una percentuale di ignoranti, persone in cattiva fede, conservatori che si venderebbero la madre al peggior offerente pur di non cambiare - anche se in meglio - le proprie abitudini. La partecipazione, a Roma, fa più danni delle scelte effettuate dai decisori politici, pubblici e amministrativi. Se quelli sono scadenti e fanno poco, la partecipazione popolare è peggio e, in luogo di far poco, punta a far nulla o a tornare indietro. Tutte le volte che ci è capitato di prendere parte a processi di partecipazione - ci sono le dovute eccezioni, è chiaro, ma sono quelle che confermano la regola! - abbiamo sempre notato grumi e metastasi di cittadini pronti a tutto pur di bloccare lo sviluppo della città. Bloccare il tram, bloccare la ciclabile, bloccare il parcheggio interrato, bloccare il cantiere della metropolitana, bloccare l'allargamento dei marciapiedi. Il paradigma della "partecipazione" a Roma (è un problema italiano, è vero, ma a Roma si accentua di parecchio) ce lo hai nelle riunioni di condominio e nello squallore dei comitati di quartiere (l'ultima notizia? Oggi quello di Tor di Valle, una zona fetente e vomitevole che potrebbe essere riqualificata dal progetto del Nuovo Stadio della Roma, hanno denunciato il progetto stesso alla Procura della Repubblica, che ha dovuto far partire una inchiesta). Tanto basta. Che questo modello venga portato nella filiera delle decisioni amministrative è follia in questa fase. I decisori che sono pagati per farlo decidano per il meglio, tanto è facilissimo farlo: basta copiare quanto fatto in tutto il mondo su problemi che tutti avevano e che oggi sono rimasti solo qui.

Occasioni perse. Arrivano i semafori a led, ma non sparisce il semaforo del prepotente.

3 settembre 2015

Vi parleremo di una cosa che, probabilmente, non avete mai notato. Come tante purtroppo. O che comunque la schiacciante maggioranza di voi non ha mai notato pur magari avendone subito i disagi, piccoli fino ad un certo punto. 
Parliamo di un nostro 'cavallo di battaglia' da anni e anni: il semaforo del prepotente. Cosa è? Non è altro che il semaforo ripetitore, previsto ma non obbligatorio nel Codice della Strada, che viene piazzato oltre l'incrocio, dall'altra parte dell'intersezione. Può essere considerato un orpello per aumentare la sicurezza e la visibilità e magari a servizio di chi, in prima fila, non visualizza bene la luce semaforica sopra di lui. Questo orpello, però, a Roma viene come di consueto strumentalizzato e preso in ostaggio da prepotenti, furbi, cafoni.

La domanda è: perché quando attraversate le strisce incontrate spesso auto e ancor più spesso motorini sulle strisce tanto da dovervi fare lo slalom? Perché, addirittura, trovate auto e motorini oltre le strisce, in modo che se avete un passeggino o una carrozzella il malcapitato occupante si trova perfettamente a livello degli scappamenti dei suv o degli sguderoni di turno? Questo succede semplicemente perché a Roma chi supera la linea di stop del semaforo ne ha quasi sempre uno a sua disposizione anche dopo, oltre l'incrocio. Basta dunque traguardare quello e si è perfettamente aggiornati su quando è verde, partendo per primi in sgommata, autentica ragione di vita di una buona percentuale di nostri concittadini.

Perché ne riparliamo ora dopo averne parlato diffusamente in passato con tanto di video che vi consigliamo di vedere? Semplice: perché in questi mesi molte luci semaforiche romane sono state sostituite da apparecchi a led. Una grandiosa operazione che ha finalmente portato semafori più moderni e visibili (anche di giorno) oltre che meno onerosi in termini di consumo. Ebbene si è finalmente colto l'occasione di tutto questo per eliminare i semafori ripetitori? Praticamente no. Qualche volta si, ma quasi mai. Molti semafori ripetitori sono stati lasciati al loro posto. 
E' assurdo perché i semafori ripetitori costano un sacco di soldi, incitano a comportamenti antisociali e contribuiscono a rendere la vita impossibile a pedoni, anziani, mamme con bambini, disabili. Eliminarli migliora la qualità della vita di tutti e umilia i cafoni di turno che dovessero continuare a superare lo stop con il rosso: si ritroveranno nella classica condizione sfigata di quelli che, avendo superato tutti ed essendosi posizionati in mezzo alla strada, si trovano strombazzati da quelli dietro perché il verde è scattato ma non lo hanno visto. E dunque smetteranno ben presto.

Considerando che a Roma si metterà mano ai semafori tra altri 40 o 50 anni, significa che abbiamo perso una enorme occasione per fare un'operazione non solo a costo zero, ma a guadagno netto per il Comune (meno luci semaforiche da mantenere, meno costi di bolletta elettrica) e utilissima per raddrizzare un po' il comportamento dei cittadini.

Isole ecologiche Ama presidiate dal racket dei rifiuti e dipendenti conniventi. Il senatore va e fotografa. Ora si muoverà qualcosa?

2 settembre 2015




Nei giorni scorsi Vi ho sottoposto la mia "denuncia" sull'uso improprio delle isole ecologiche della Capitale da parte dei Rom. 
Data la rilevanza dell'argomento ritengo opportuno rimarcare e specificare alcuni aspetti di questa vergognosa situazione. Che non può e non deve essere più trascurata dal mondo politico e dall'attenzione dei media. 
Corredo il tutto da alcune foto che ho scattato personalmente e tra cui Vi autorizzo a scegliere per eventuali vostri approfondimenti o inchieste. In queste foto allegate si vedono alcuni uomini mentre depredano indisturtamente i materiali che poi saranno rimessi illegalmente in commercio. Alcuni esempi. Dai frigoriferi vengono prelevati i motori che andranno a fruttare decine di euro. Gli stessi elettrodomesitci saranno successivamente abbandonati a cielo aperto nei dintorni, con i gas fuoriusciti che aleggiano pericolosamente. Stessa "procedura" per i telefoni cellulari, da cui viene per così dire estratti l'oro contenuto all'interno per un valore di circa un euro a telefonino.

Le isole ecologiche di Roma gestite dall’Ama, duqnue, sono letteralmente presidiate dai Rom, grazie anche alla cialtronaggine dei dipendenti dell’azienda municipale. Gli stessi che, in alcuni casi, sono veri e propri conniventi. E in altri non si assumono la responsabilità di vigilare perché "non fa parte delle loro competenze". Vengono indisturbatamente spogliati i Raee, e “scippati” i materiali preziosi. Per poi abbandonare i residui inquinanti e tossici che permangono nei dintorni. C'è da chiedersi allora quale sia la valenza delle stesse isole ecologiche. Tutto questo ai danni dell’ambiente, a beneficio solo dell’illegalità. Dove risulta difficile stabilire il confine fra trascuratezza e volontà di alimentare un sistema più che consolidato. La denuncia deve tramutarsi in atti concreti ed effettivi. Mi auguro che l’affiancamento del Prefetto Grabrielli, colmi queste e altre gravi lacune della mancata gestione Marino.

Sen. Aldo Di Biagio
Vicepresidente della Commissione Ambiente al Senato

E adesso fanno i fighi su Facebook gli "aiutanti" di Termini. Quelli col badge dell'Italia. E si lamentano pure che coi varchi si "lavora" di meno


Cari amici di Roma fa Schifo,
è la prima volta che, pur essendo vostra lettrice da moltissimi anni, mi azzardo anche io a mandarvi una segnalazione. Vivo in provincia e lavoro (quando lavoro, ahimé) a Roma e sono una frequentatrice purtroppo assai abituale della Stazione Termini.




Da qualche tempo il fenomeno che si verifica in stazione, assieme a tante altre cose una più assurda dell'altra, è quello degli "aiutanti" con tanto di divisa, maglietta coordinata, camicetta, badge e fascetta al collo che "aiutano" turisti e pendolari a fare il biglietto, a portare il bagaglio al treno e così via. 



Non vi ho segnalato mai la cosa per il semplice fatto che sono usciti tantissimi post su Facebook e mi pare anche sul sito per cui, insomma, avete fatto da soli. Ultimamente però mi hanno segnalato una cosa che non ho visto pubblicata da nessuna parte e volevo sottoporvela. Praticamente ho trovato una serie di pagine Facebook dove gli stessi personaggi che mi hanno importunato in stazione e, a mio parere, hanno attuato vere e proprie estorsioni o comunque atti sicuramente illegali si mettono bellamente in posa, si scattano i selfie, si adagiano sulle vetture della Polizia di Stato. Questi signori a mio modo di vedere cercano di raggirare i turisti, fregano loro i soldi, portano il bagaglio e poi chiedono il "riscatto" per riaverlo indietro. E se ne vantano pure su Facebook (Trenitalia ferovianella più totale impunità? E c'è un video - che vi mando - in cui uno di loro si lamenta (Hai pa Ce fost verde sa uscat) perché con i varchi installati negli ultimi giorni e finalmente presidiati non si lavora più. Cioè ora sono loro a far video in Stazione per lamentarsi del ripristino della legalità? Io non ho parole. Che ne dite?
Maura


*Maura,
sei sicura che alla fine Grandi Stazioni non li abbia assunti? Da come si comportano sembrerebbe proprio di sì. Tornando seri: non abbiam parole neppure noi... L'unica speranza - vedi notizia qui sopra dell'altro ieri (con numeri da urlo) - è che i signorini siano finiti nelle grinfie dei Carabinieri, le casistiche di reato ci sono tutte.
-RFS

Perché non trasformare la Stazione Tiburtina in un carcere? Storia di un fallimento e 10 idee per risolverlo

1 settembre 2015











A Napoli c'è - da decenni - il Centro Direzionale, a Milano c'è tutta la nuova e straordinaria zona di Porta Nuova, a Roma il grande quartiere semi-centrale moderno e funzionale che la città poteva avere si chiama Pietralata e poteva nascere sui terreni di proprietà ferroviaria sopra alla nuova Circonvallazione Interna (ovvero la Tangenziale Est interrata che voi tutti, sempre ad eccessiva velocità, avrete almeno una volta percorso). Ebbene non sta succedendo niente di paragonabile alle altre città italiane (e occidentali). Gli sviluppi in corso - oltre alla Stazione Tiburtina, appunto - si fermano alla nuova sede della Bnl che cresce velocemente, che sarà molto bella, ma che rischia di restare isolata, circondata di piazzali, parcheggi, tendopoli per profughi di passaggio, tanta polvere e, forse nel 2017, un piccolo parco. Insomma cabotaggio molto contenuto, alla romana. L'unica capitale europea che si rifiuta di esserlo e di pensarsi come tale.

Le avvisaglie però c'erano e si dovevano intravedere subito dalle condizioni della Stazione Tiburtina. E soprattutto nell'atto di grande cialtronaggine di sfregiare un'opera architettonica di qualità con superfetazioni architettoniche degne neppure di un carcere. Prefabbricati da galera di serie C. Roma Tiburtina, l'unica gattabuia al mondo col tetto progettato da Paolo Desideri.

Ovviamente in questo lager (ma i motivi sono anche altri purtroppo, non solo estetici) nessuno ha pacere di affittare un negozio - magari manco economico - e dunque le saracinesche sono per metà abbassate assommando tristezza su tristezza.

Le cose che bisognerebbe mettere in cantiere (il Comune sta a manco il 20%) sono forse sintetizzabili nelle seguenti 10.

1. far partire i cantieri sul lato Pietralata convincendo in qualche modo (certo a Roma è dura) aziende e enti a venire a costruire qui la propria sede come sta facendo Bnl.

2. abbattere o rifunzionalizzare la Tangenziale vecchia. Magari lasciando simbolicamente solo i piloni come chiede Nathalie Grenon.

3. realizzare il progetto di Nathalie Grenon nella restante parte della Tangenziale vecchia: all'insegna non banalmente del verde, ma anche dell'educazione, della ricerca, dello studio, della sperimentazione.

4. realizzare tanti parcheggi sotto il progetto di Nathalie Grenon (il progetto non ne prevede granché ed è l'unico suo vulnus) in modo da liberare dalle auto tutto il quartiere di Piazza Bologna attuando una vera rivoluzione urbanistica in quel quadrante.

5. riqualificare o spostare la autostazione Tibus che versa in stato di semi putrefazione quando invece potrebbe essere un hub di qualità, piacevole, fautore di posti di lavoro, commerci e confort.

6. riqualificare pesantemente o demolire il Centro Ittologico e tutte le aree circostante per cucire tutta l'area fino alla Città del  Sole e dunque intervenire pesantemente sulla zella inumana di Piazza delle Crocia e sulla zella inumana di Largo Guido Mazzoni.

7. modificare tutta la viabilità circostante alla stazione lato Nomentano eliminando la sosta selvaggia possibilmente con tecniche simili a quelle adottate a Via Giolitti. Oggi chi porta e prende le persone in stazione sosta in mezzo alla strada ignorando che sull'altro lato ci sono regolarissimi parcheggi gratuiti a volontà.

8. realizzare il collegamento tranviario che, sfiocchettando dal Verano, arrivi fino sulla Via Tiburtina servendo questa area. E' tutto già progettato e impostato, costa pure poco e corre in mezzo alla preferenziale della Tiburtina.

9. realizzare un boulevard alberato e passeggiabile con spazi ridotti per le macchine e ampi per i pedoni e per le attività (street food e altro) nel tratto della Tiburtina (che sarà appunto percorso dal tram) tra Piazzale Verano e la Stazione, in modo da rendere la Tiburtina facilissimamente e piacevolissimamente raggiungibile a piedi da San Lorenzo con una bella passeggiata.

10. fare lo stesso con Via della Lega Lombarda collegando così con un viale piacevole, con ampi marciapiedi e servizi e arredi di livello Piazzale delle Provincie con Piazza delle Crociate. Oggi qui c'è sottosviluppo allo stato brado e invece si tratterebbe di valorizzare l'edificio delle case popolari di Innocenzo Sabbatini (le più belle case popolari di Roma) e l'edificio della Città del Sole di Studio Labics (il più bello sviluppo immobiliare contemporaneo di Roma).
Solo a questo punto il ponte commerciale della Stazione Tiburtina avrà il suo senso. Ma se non c'è la voglia, la lucidità e la visione per fare tutto questo (e non ci raccontate la frottola che mancano le risorse cortesemente, che basterebbe ritornare in possesso e vendere al migliore occupante l'enorme palazzo occupato a Viale delle Provincie per avere le risorse per fare tutto e bene!) si trasformi questo pseudo carcere in un vero carcere. C'è un enorme bisogno di spazi dove mettere malviventi, malavitosi, furfanti e delinquenti. Pensiamoci...

100 autovelox fissi subito. Cosa deve succede ancora? Morti per velocità, ma anche per chi non la disincentiva temendo di perdere voti


Non siamo tra quelli che, come molti fanno banalmente e semplicisticamente, considerano la velocità come un fattore di rischio così importante per la sicura stradale urbana. Si tratta indubbiamente di una questione importante, ma non a nostro avviso della principale. Più gravi, sono a nostro avviso, errori di arredi urbano e tolleranza della sosta selvaggia: pensiamo che lì si annidi il grosso rischio per gli incidenti in città laddove la velocità, ora sì, è il fattore principale fuori dalla città.

Questo non significa che, pure dentro la città, la velocità non debba essere considerata un problema grave da affrontare e da risolvere. E francamente non riusciamo a capire come l'amministrazione possa tollerare, senza praticamente muovere ciglio, la mattanza che ogni giorno, ogni settimana, ogni mese si mette in scena nel teatro delle strade della città. Il mese appena concluso, poi, agosto 2015, è stato terribile. Solo nell'ultimo fine settimana fino a quest'oggi si sono festeggiati (festeggiati, sì, perché se fosse invece un dramma, come sarebbe normale, si interverrebbe in qualche modo) 7 morti ammazzati o automobilisti o pedoni, più una manciata di feriti, alcuni molto gravi. L'ultimo stamattina, un ragazzo di 22 anni protagonista dell'incidente di ieri sera a Ponte Milvio.



Non stiamo parlando delle "stragi del sabato sera" tanto in voga negli anni Ottanta o Novanta. Stiamo parlando di persone che vanno veloci e fanno quello che gli pare pur essendo normalissimi operai, normalissimi imprenditori, normalissimi padri di famiglia. Magari neppure drogati. Ma drogati da una città che ti inietta in vena il senso dell'anarchia, della sopraffazione, del disprezzo delle regole. Le soluzioni che proponiamo (i 100 autovelox che leggerete dopo, ad esempio) magari non risolvono di per se la situazione, ma creano un'atmosfera (una atmosfera!) che per lo meno mette a disagio e racconta come anomali certi comportamenti. Oggi anomalo a Roma è chi rispetta le norme e questo deve profondamente cambiare. 

E' vero che la Polizia Locale sta cercando di fare qualcosa con una serie di autovelox mobili, ma è un palliativo blando che funziona poco, che non è visibile e che, invece, potrebbe funzionare molto meglio se integrato con un sistema ampio, rigido ed efficace di autovelox fissi. 



A Milano si è fatto a Roma no. A Milano nelle strade dove sono stati montati (nella primavera del 2014) i nuovi autovelox fissi, l'incidentalità è crollata del 77% a Roma si continua a morire a dei livelli non paragonabili in nessuna città del mondo. Gli autovelox permettono di incassare denaro e al contempo dare sicurezza ai cittadini, una cosa troppo smart e intelligente per essere applicata a Roma? Eppure i radar in città sono la norma in tutto il mondo e solo da noi esiste la ridicola filastrocca del "fare cassa", del "furto gli onesti cittadini". Ma gli autovelox non provocano nessun furto, semmai giuste sanzioni. E soprattutto gli autovelox non se la prendono mai, per definizione, con onesti cittadini, bensì con cittadini tutt'altro che onesti che superano i limiti di velocità.


Un autovelox, o meglio un sistema di autovelox, è una cosa che fa stare più sicuro te, magari ti salva la vita, magari la salva a tuo figlio che gira in motorino o a tua mamma che rischia di essere speronata da qualche pazzo in Porsche a 200 all'ora. Ciononostante la incredibile e inedita malattia-per-la-macchina dei romani fa sì che a Roma tutti siano contrari. Assurdo, ma vero. 

Tra i dibattiti sulla morte di Claudio Salini, il bravo imprenditore (tante volte abbiamo parlato bene delle sue realizzazioni, non ultimo il parcheggio-piastra sopra la Stazione Termini sui nostri blog) che ha perso la vita l'altro ieri notte sulla Cristoforo Colombo schiantandosi contro un pino a velocità folle, i romani preferiscono condannare una cunetta sulla strada piuttosto che il superamento dei limiti di velocità. Ma il sottosviluppo mentale e l'analfabetismo funzionale dei romani non dovrebbe contagiare, come invece fa, gli amministratori. 

E invece è così. Alemanno ha realizzato zero autovelox fissi in città. Marino, che si è preso dei bei voti promettendo una città sostenibile a misura di bici e di mamme con passeggino, ha fatto altrettanto e sulle strade di grande scorrimento siamo ormai ai livelli delle gare clandestine (non solo sulla Tuscolana, ma anche sulla Circonvallazione Clodia). I 7 autovelox di Milano che hanno ridotto del 77% l'incidentalità (e dunque fatto risparmiare, non ce lo dimentichiamo, centinaia di milioni al sistema sanitario regionale della Lombardia), hanno multato nei primi mesi 9000 persone al giorno (!) per poi scendere a 5mila, fino a 2mila. Questo significa che questo sistema salva le vite e non costa nulla, anzi fa incassare soldi al Comune che potrebbe reinvestirli sulla sicurezza stradale. Pensate che bello: ciclabili, parapedonali, spartitraffico, sistemi di calmierizzazione della velocità, attraversamenti pedonali rialzati tutti pagati con i soldi di chi supera i limiti di velocità. Una città da sogno. Un progetto rispetto al quale non si può dire "non ci sono i soldi".



E se Milano, che ha un territorio comunale molto piccolo, i nuovi autovelox sono 7 (che si aggiungono però agli altri) a Roma - grande 11 volte Milano e con problemi di indisciplina e mobilità enormemente superiori - la campagna dovrebbe essere quella di 100 autovelox. A partire dalle consolari, all'Olimpica, alla Tangenziale Est, a Viale Marconi e Viale Trastevere, a Via Nazionale e Viale Aventino, a Viale Regina Margherita e Viale Parioli, sul Viadotto dei Presidenti e sulla Togliatti fin giù allo scandalo di Via Labicana dove il Comune ha portato il limite a 30 all'ora (è la strada che tanti ciclisti e pedoni fanno perché è prosecuzione naturale della neopedonalizzata Via dei Fori Imperiali) e dove dopo alcuni giorni di autovelox mobili qualche manina politica e potente ha consigliato ai vigili di girare al largo. E così si sfreccia a 90 all'ora con auto e scooteroni facendo il pelo a chi pedala in bici. I velox fissi non stanno a sentire le pressioni del politico di turno...

Quanto si guadagna? Noi stimiamo - e ci andiamo molto cauti - che questo piano possa portare 30mila multe al giorno. Per una media di 100 euro a multa fanno 3milioni di incasso al giorno. Un miliardo l'anno. Un-miliardo-di-fottutissimi-e-dannatissimi-euri-all'anno. Si cambia faccia alla città con questi soldi. Sono soldi sufficienti per sistemare le strade, costruire tramvie, iniziare una metropolitana e garantirle un flusso di denaro sufficiente per essere completata in breve tempo. Paghiamo la Metro D con i soldi dei cafoni che non rispettano la sicurezza dei loro concittadini, è una storia straordinaria da raccontare. E poi 30mila multe al giorno per alta velocità cosa significano? Significano tante, tante persone con meno punti nella patente. E se hai meno punti nella patente guidi forse con più attenzione. 

Davvero dobbiamo continuare ad essere la prima città d'Europa per incidenti pur di non perdere il voto di quattro cafoni? Davvero dobbiamo continuare ad avere un tasso di mortalità esattamente cinque volte più alto di quello di Parigi per non infastidire i coatti e per non rischiare di perdere il loro consenso? Ma allora abbiamo ragione noi quando diciamo che a Roma non può esserci forma di democrazia e che ogni declinazione del concetto democratico è in realtà una sevizie autoinflitta alla città e ai suoi cittadini. Ora c'è un Prefetto con poteri maggiori sulla città, un Prefetto che non si deve porre il problema della rielezione: farà finta di niente rispetto alla carneficina quotidiana o chiederà a qualcuno perché non si fa non diciamo come Vienna o Stoccolma, ma almeno come Milano?

ShareThis