Lo stupendo nuovo giardino di Villa Blanc. Nuovo schiaffo alla feccia dei comitati romani

30 maggio 2018












La questione è assurda e tipicamente romana. E come tale merita un piccolo approfondimento.

La villa è stata costruita a metà ottocento e poi rilevata dal conte Alberto Blanc in persona come residenza privata in un terreno che un tempo era decisamente fuori città. Dopo la sua morte circa 100 anni fa la villa è passata per numerose mani fino ad arrivare a quelle dello Stato. La cosa assurda è che lo Stato poco dopo la regala alla Luiss per 6 miliardi di lire 1997) e i romanari ignoranti invece di prendersela con lo Stato che l’ha svenduta, hanno dichiarato guerra alla Luiss che, in quanto privata, aveva guarda un po' un fine “privato” (come è giusto che sia avendola comprata legittimamente).


La Luiss dopo aver vinto qualsiasi causa in tribunale contro comitati surreali che chiedevano l'esproprio proletario di un bene privato, ha avuto anche il merito di dare uno schiaffo a questi emeriti imbecilli regalando un pezzo di parco e aprendolo al pubblico in ottemperanza con una convenzione col Comune di Roma firmata nel 2011.

Quindi ora la villa in sè ultravincolata è diventata una meraviglia di università che già crea ricchezza e lavoro per la città mantenendo una qualità altissima (tra le poche cose che a Roma mantengono una qualità altissima ahinoi).
E nello stesso tempo una parte del parco è stato aperto al pubblico. E a differenza dei parchi del Comune è perfetto e manutenuto per la gioia di tutti i cittadini. Inclusi quelli dei comitati "a difesa" di Villa Blanc.

Si poteva ottenere ancora di più? Probabilmente sì, ma con altri cittadini, con altro impegno civico, con altri comitati. I comitati romani urlano al lupo al lupo, chiedono l'esproprio, fanno esposti strumentalizzando l'assurda burocrazia italica, vanno al tar non come strumento di difesa bensì di intimidazione e ripicca, considerano una università di eccellenza come uno speculatore edilizio. In altre città il comitato civico si sarebbe seduto al tavolino con la controparte, avrebbe detto: "siamo orgogliosi di avervi, siamo disposti a convincere tutta la cittadinanza di quanto è positivo il vostro arrivo, ma dateci qualcosa di fattivo in cambio, dimostrate che ci tenete anche voi come noi". E magari oggi avremmo avuto tutta la villa aperta e altri servizi ancora.

I comitati a Roma sono per lo più così. Praticamente mai li troverai contro i veri costruttori-cancro della città (ma sempre in prima fila quando si fa un progetto urbanistico e architettonico di qualità); quasi mai contro i cartellonari, i bancarellari, i balneari, i callarrostari. Zero esposti e ricorsi al tar contro doppia fila e altri problemi reali che deprimono la città. Però si scagliano per decenni contro... la Luiss. Forse l'unica eccellenza rimasta a Roma che dovrebbe avere massima tutela e dovrebbe essere vista come vanto e orgoglio da una cittadinanza evoluta. Semplicemente trogloditi, punto.

La nostra lotta contro la feccia (la feccia!) dei comitati di Roma (qualche giorno fa parlammo anche di Villa Pamphili, se non avete letto leggete) continua e non finisce qui. Loro continueranno senz'altro a fare danni, ma per lo meno ora c'è qualcuno che li ha smascherati.

"Non è vero che scrocchiamo l'affitto". Una lettera dalla Casa delle Donne

26 maggio 2018
Veramente giusto far conoscere la vicenda allucinante del Casale dei Cedrati a Villa Pamphili ma che dolore quei due accenni, quelle due pugnalate al femminismo romano e alla Casa internazionale delle donne. In un punto, a proposito della cooperativa del Casale, “donne non femministe, si badi bene”). Perché questa contrapposizione? Forse “femminista” è diventata una parolaccia? E nell’altro punto, “loro pagano l’affitto e ogni riferimento alla Casa delle donne non è casuale”. Viene da pensare che uno dei problemi di questa Roma che fa schifo deriva dal fatto che le realtà virtuose non si conoscono fra loro e, quindi, si passa per buona la calunnia che riguarda gli altri mentre si contesta quella in casa propria.
Venite, per favore, a via della Lungara 19, le porte sono aperte. Troverete tante attività in svolgimento, culturali e di assistenza, legale, psicologica, ginecologica. C’è la biblioteca e ci sono gli archivi del femminismo (sì del femminismo romano) e dell’UDI. E’ un complesso conventuale del Seicento, bello, con due giardini, proprio attaccato alle Mantellate (infatti nel passato era un luogo di contenzione di qui la forza simbolica di averlo affidato al movimento femminista e femminile e lesbico), nella parte restaurata ci sono stanze di lavoro e sale convegni, al centro un immobile basso dove è la caffetteria e ristorante self service, in un’ala c’è la foresteria, dedicata alle donne sole che pernottano a Roma. Il personale che tiene aperto l’intero complesso, dalle 9 per l’utenza, dalle 7 per chi lavora, è composto da 17 donne e ragazze regolarmente assunte con contratto a tempo indeterminato, alcune di loro hanno alle spalle brutte esperienze, o provengono da categorie svantaggiate.
Non è, come si cerca di far passare, un club di signore snob, sono più o meno 30.000 le donne che ogni anno vanno e utilizzano i servizi della casa. Le sale si affittano anche per convegni e iniziative esterne. Ma ci sono anche le iniziative legate al movimento delle donne, come il festival dell’editoria femminile che si è svolto quest’inverno, i seminari delle storiche e quelli delle scrittrici.
La cosa molto importante è che tutte queste attività e la manutenzione del complesso si autofinanziano, il bilancio 2016, già nei libri contabili, è in pareggio. L’altro giorno, mentre si svolgeva la conferenza stampa a cui ha partecipato Marcello Fonte, nel giardino i potatori lavoravano a potare le altissime palme, una spesa non da poco, come può testimoniare chi ne sa qualcosa.
E veniamo alla questione del canone. E’ stato il consorzio delle oltre trenta associazioni che gestiscono la casa a sollevare il tema presso le amministrazioni comunali che si sono succedute. Quasi 600.000 euro di affitto dovuto sono stati pagati.  Il punto è che vogliono ma non ce la fanno a pagare i circa 8000 euro al mese che furono stabiliti anni fa e non ce la farebbe nessuna realtà che svolge attività senza fini di lucro, sia pure perseguendo l’obiettivo della sostenibilità economico-finanziaria. Fu un errore firmare quel contratto e per questo si chiede una revisione. Con quali argomenti? Eccoli: 1) forniamo servizi culturali e di assistenza che sono un valore aggiunto per Roma. Non li mettiamo nella tabella del dare e avere perché è un’attività volontaria ed è il cuore, la ragione di fondo che sta alla base della convenzione con cui è nata la Casa internazionale delle donne. Ma questo non significa che quel valore aggiunto non si possa quantificare ed è quantificabile in circa 283.000. 2)Facciamo manutenzione ordinaria e straordinaria della Casa che sono obbligatorie senza distinzione nell’edificio storico (351.000 euro). 3)Le lungaggini burocratiche (ah come siamo solidali con il Casale dei Cedrati!) hanno comportato mancati guadagni. Per esempio i permessi per la foresteria, prevista fin dall’inizio nella Convenzione, nel 2003, sono arrivati solo nel 2008. Il Comune si era impegnato al restauro di una sala al piano terra. Ma il restauro non è stato fatto. Quella sala restaurata potrebbe essere affittata. I mancati guadagni sono calcolati in 100.000 euro per la foresteria e 100.000 per la sala.
Dunque, senza mettere nel conto i servizi a carattere volontario, lo sconto richiesto si aggira intorno ai 530.000 euro. La memoria che riporta queste cifre è stata consegnata 5 mesi fa a assessorati, uffici e consiglio comunale.
A fronte di tutto questo ci sono due soli atti ufficiali del Campidoglio: un avviso di pagamento, primo atto per lo sfratto, e la mozione a firma Gemma Guerrini. La mozione chiede alla giunta che il Campidoglio assuma il coordinamento del progetto e metta a bando i servizi. Ora, il Campidoglio può fare tutti i progetti che vuole, ovviamente, ma non può appropriarsi del marchio Casa internazionale delle donne, per due ragioni molto importanti, l’una legale, l’altra politica: perché è un marchio registrato alla Camera di commercio e perché la Casa internazionale delle donne è da 40 anni espressione dell’autonomia dei movimenti delle donne. Pensiamo che l’ostilità che si manifesta di questi tempi verso i soggetti che esprimono autonomia ma cercano anche, come facciamo noi, la collaborazione con le istituzioni, è una cosa che fa male a Roma.
Jolanda Bufalini

*Riceviamo e pubblichiamo con piacere questo bel testo di Jolanda Bufalini (che collabora in queste settimane anche con Giovanni Caudo, e che dunque si merita tutti i nostri in bocca al lupo per un felice esito delle elezioni del prossimo 10 giugno), tuttavia restiamo della nostra opinione. Siamo convintissimi che la Casa delle Donne eroghi servizi di qualità, non abbiamo alcun dubbio. Ma siamo altrettanto convinti che a Roma ci siano migliaia di altre realtà (una siamo perfino noialtri di Roma fa Schifo, figuratevi un po'!) che erogano servizi di eccellenza anche solo per puro scopo civico e che però per farlo pagano affitti di mercato, utenze, bollette e quant'altro. Dopodiché si può anche decidere che determinate realtà debbono stare in spazi pubblici senza pagare (ed è una decisione tostissima, da prendere assumendosene una enorme responsabilità perché a nostro avviso il bene pubblico va messo a reddito per poter ricavare i denari utili proprio a erogare quei servizi, senza che così siano delle associazioni private a doverle fare in sostituzione!), ma se lo si fa l'assegnazione deve avvenire dietro ad una regolare procedura ad evidenza pubblica. Dando a tutti quanti la stessa chance. Roma è piena zeppa di associazioni che non ce la fanno, che devono fare sacrifici atroci per pagare i fitti, che debbono chiudere perché nessuno "calcola la differenza" tra l'affitto che possono permettersi di pagare e l'affitto che invece gli viene richiesto. Ci sono decine di realtà che vorrebbero fare ristorazione ma la burocrazia glielo impedisce, ci sono altrettante realtà  - magari di qualità tanto quanto la Casa - che vorrebbero fare centro congressi ma le norme vessatorie che abbiamo glielo impediscono. Non è giusto secondo noi che qualcuno abbia una via preferenziale. La qualità dei servizi erogati non giustifica, non legittima, non può essere un salvacondotto per il semplice fatto che sono tanti a erogare la qualità e questa cosa non può essere riconosciuta solo a qualcuno sì e a qualcuno no in base a non si sa quale considerazione e valutazione.
Ci stupisce molto che chi sta dalla parte delle donne e lotta per le pari opportunità di tutti non lo capisca nel suo profondo.
-ROMA FA SCHIFO

Casale dei Cedrati a Villa Pamphili. La storia allucinante che tutti dovrebbero conoscere

24 maggio 2018


Tutti a Roma dovrebbero approfondire la storia che sta dietro al Casale dei Cedrati. Tutti dovrebbero perché la storia è paradigmatica e quintessenziale di come funziona questa città atroce e meschina: burocrazia folle, tempi assurdi, tolleranza totale verso chi fa male e accanimento verso chi fa la qualità, norme scritte coi piedi utilizzate come clava contro chi ancora investe invece che minimizzate nel loro impatto nefasto, imprenditori di eccellenza che dopo anni di calvario mollano e lasciano così campo libero ai tanti sciacalli pronti a subentrare. Quintessenzialmente Roma. Questa storia racconta la vostra città. State a sentire...

Cosa è successo al Casale dei Cedrati? Quale è la vicenda di questo stupendo spazio dentro Villa Pamphili una villa che, come abbiamo spiegato, avrebbe un enorme bisogno di attività economiche al suo interno così come tutti gli spazi verdi a Roma?

Per scoprire tutta la storia occorre riavvolgere il nastro del tempo per quasi due decenni. Erano i tempi del Giubileo del 2000 quando questo casale venne restaurato. Ovviamente con soldi pubblici.

Nel 2001 il Casale è pronto per essere aperto. Ma la funzionaria Sovrintendenziale decide che è meno rischioso per lei lasciare tutto chiuso. Il Casale, appena restaurato con denari pubblici, viene tenuto in abbandono fino al 2013.

Nel 2013 finalmente un bando. Lo vince la compagine composta da Coopculture e da una associazione nata da alcune donne di Monteverde (donne, non femministe, donne!).

Nel 2014 si chiude l'accordo con la Sovrintendenza. A differenza di altri soggetti (ogni riferimento alla Casa delle Donne è puramente voluto), il Casale dei Cedrati pagherà un fior di affitto alla Sovrintendenza (2000 euro al mese) e sarà obbligato a fare parecchie attivitità culturali oltre che quelle di ristorazione.

Dopo due anni di calvario burocratico il Casale riesce ad aprire a dicembre 2015. Era tenuto in abbandono dunque i lavori richiedono 300mila euro ulteriori. Uno spazio stupendo ne scaturisce: gastronomia di buon livello, spazio espositivo con mostre di qualità, cura del verde e soldi nelle casse dell'amministrazione al posto di un bene pubblico in abbandono.









Dopo l'apertura da tutti i fronti arrivano gli attacchi alla nuova struttura. Invece di sostenerla e fare i ponti d'oro a chi portava lavoro, qualità e riqualificazione a spese zero per le casse pubbliche (anzi pagando ogni mese un affitto!), il Municipio XII inizia a massacrarla in maniera feroce e inspiegabile (evidentemente non posso aprire progetti di grande respiro senza aver unto a dovere dove bisogna ungere, e questo non viene tollerato; significherebbe un precedente), la Sovrintendenza Comunale fa lo stesso e ci si mette anche la Soprintendenza di Stato visto che come sa chi è passato da qui un pezzo dell'antico casale appoggia sull'Acquedotto dell'Acqua Paola, di proprietà dello Stato italiano. Il resto lo fanno le allucinanti associazioni banditesche che dicono di difendere Villa Pamphili ma che in realtà lavorano per interessi loschi distantissimi dal bene comune: Roma è piena di queste realtà di finto impegno civico che in realtà quasi sempre giocano di sponda con l'imprenditoria criminale e con la politica corrotta. Abbiamo più volte raccontato il modo ignobile con cui i così detti "comitati di quartiere" si comportano in città.

Arriva un esposto (ovviamente anonimo) per abusi edilizi durante i lavori di ristrutturazione (una rampa disabili che prima non c'era ed era obbligatoria per la messa a norma). Arriva poi un giorno alle 8 del mattino la Municipale del XII Municipio e mette a verbale che nel Casale non ci sono attività culturali in corso: il Casale aveva un intero piano espositivo, con mostre di livello seguite da curatori e recensite su riviste di settore, ovviamente alle 8 del mattino non c'erano gli artisti a lavoro nella mostra (perché avrebbero dovuto?). 
E' il segnale: la cosa non s'ha da fare. Nelle ville romane si possono tollerare solo i camion bar e gli abusivi, chi fa qualità è destabilizzante per tutto un oliato sistema costruito da decenni. La magistratura apre un fascicolo e mette immediatamente i sigilli (se voi denunciate un abuso edilizio vero potete aspettare anche trent'anni!), la Sovrintendenza prende atto e toglie la concessione ai vincitori del bando. Casale dei Cedrati, dopo soli 2 mesi di apertura, deve chiudere: in fumo due anni di lavori e 300mila euro di investimenti oltre che 14 posti di lavoro. Le associazioni in difesa di Villa Pamphili, esultano per il risultato raggiunto.

Avete capito bene: a Roma, capitale intercontinentale della camorraglia e degli abusi di ogni genere in ogni singolo settore economico a partire da quello edilizio, la magistratura ha sequestrato un centro culturale con ristorazione impeccabile, dentro Villa Pamphilj, che in soli due mesi aveva fatto decine di attività e riqualificato l'area, per via di una risalita per disabili forse non correttamente autorizzata. A Roma, nella città dei bancarellari, dei cartellonari, dei balneari, dei palazzinari, dei palazzi occupati. Proprio così.

Ma ci sono anche un tot di storie parallele. Nel bando che ha assegnato il Casale c'erano altri casali della Villa assegnati. Se tutto fosse andato in porto Villa Pamphili avrebbe cambiato faccia con nuovi servizi, nuove destinazioni, nuova qualità, tanti posti di lavoro. Gli altri vincitori dei bandi, ad esempio quelli di Casale Giovi, ricevono però lo stesso trattamento: attacchi devastanti dagli uffici tecnici del Municipio XII, controlli vessatori della Municipale, esposti anonimi. A differenza di quelli del Casale dei Cedrati, i gestori di Casale di Giovi rinunciano, scappano a gambe levate pur avendo speso 60mila euro fino a quel momento. Se oggi andate a Casale Giovi (se non potete cliccate qui) potete vedere i risultati di questa follia, i lavori lasciati a metà di un altro bellissimo progetto pieno di contenuti culturali e gastronomici di tutto rilievo che non vedrà mai la luce perché se a Roma fai le cose di buon gusto e pulite rischi di prosciugare la pozzanghera melmosa di chi lucra da sempre sulla disonestà e la bruttezza. E sono tanti, e sono potenti. 

Negli stessi anni addirittura un ulteriore bando, riguardante altri casali abbandonati (la villa ne è così piena che se li metti a reddito sul serio risolvi il debito del Comune di Roma in 10 anni!) viene annullato dall'amministrazione in autotutela visto quello che era successo col bando precedente. Le acque sono definitivamente avvelenate e le speranze di rientrare nella normalità dopo episodi simili sono al lumicino. Nessun pubblico amministratore si prenderà mai più la responsabilità di far uscire dal degrado e dall'abbandono le decine di beni di proprietà comunale incastonati nella grande Villa Pamphili. È molto più comodo per tutti lasciarli lì. 

Dopo quasi un anno e mezzo, a maggio 2017 il TAR da totalmente ragione ai gestori del Casale dei Cedrati. Con un sentenza durissima contro l'amministrazione Comunale che addirittura rinuncia a ricorrere al Consiglio di Stato giusto per dirvi il livello di cattiva fede. A ottobre 2017 anche la magistratura torna sui suoi passi e toglie i sigilli.

Il Casale può riaprire, semplicemente ripristinando le piccole anomalie contestate (uno scivolo per carrozzine per disabili e una porta in legno al piano superiore montata per separare due ambienti e creare una stanza sicura dove riporre la tecnologia). I gestori chiedono alla Sovrintendenza, la Sovrintendenza rimpalla col Muncipio, il Municipio rimpalla con la Soprintendenza di Stato, l'assessore alla cultura da mesi dice che vuole risolvere ma evidentemente è debolissimo rispetto allo strapotere ignobile degli uffici e degli apparati. I Cinque Stelle al governo - benché la sindaca si fosse interessata alla cosa proprio in campagna elettorale nel 2016 e dunque conosca perfettamente la faccenda - non fanno nulla di nulla per due anni. Però poi la sindaca, senza alcun merito, è andata a farsi bella al nuovo Palazzo Merulana (ormai aprono solo spazi culturali privati, l'amministrazione è immobile) senza sapere forse che i gestori - Coopculture - sono gli stessi "abusivi" dei Cedrati. Chissà se tra breve faranno chiudere e getteranno di nuovo nell'abbandono pure il nuovo museo della Fondazione Cerasi... Ad oggi comunque Casale dei Cedrati ancora non riesce ad aprire, alle sollecitazioni dei titolari nessuno risponde in Sovrintendenza e negli altri enti, ci si diverte a torturare degli operatori onesti che avevano portato qualità e speranza ad un pezzo di Villa Pamphili. A breve si passerà alle vie legali entrando in un ginepraio ancora peggiore. 

Il Casale è piombato intanto di nuovo nel degrado più profondo (vedi video qua sotto e confrontalo alle foto sopra), serviranno ancora molti lavori per ripristinarlo per la terza volta. Il parco circostante è in condizioni disperate e le antiche serre si sono di nuovo riempite di senzatetto  e sbandati per la gioia delle associazioni banditesche che fanno il bello e il cattivo tempo a Villa Pamphili così come in mille altri luoghi di Roma sotto ricatto e sotto il giogo di personaggi ideologizzati più indicati per un sano TSO che per una attività civica volta allo sviluppo e alla qualità urbana.


Il degrado non deve cambiare, l'abbandono non deve lasciare la città, il disagio, la disoccupazione (ai Cedrati 14 persone hanno perso, senza alcun motivo, il loro posto di lavoro), il declino sono il brodo primordiale perfetto dove far crescere in coltura i bacilli della corruzione. Se si iniziano a sistemare le cose a guadagnare sono le persone per bene, di qualità, leali, oneste; se si continuano a tenere le cose come stanno continuano a guadagnare i banditi che hanno sempre guadagnato. Ecco tradotta la logica della burocrazia romana che tiene alla larga dalla città gli investitori, che scoraggia l'arrivo di società e di capitali stranieri (non sarebbero disposti a venire a patti con l'economia della corruzione), che gode di una legislatura contraddittoria e incomprensibile che lascia enormi spazi di interpretazione a chi deve attuarla. In tutto questo la politica, spesso complice spesso insipiente spettatrice, sta a guardare senza fare nulla. Limitandosi a contare le scorie che episodi come questi lasciano sul territorio.

Non ci sarà più un bando per assegnare i casali abbandonati di Villa Pamphili visto il caos del bando di cui abbiamo parlato: nessun pubblico amministratore si metterà in queste beghe; se pure un giorno ci sarà non ci sarà più nessun imprenditore onesto disposto a partecipare visto il calvario cui sono stati sottoposti gli imprenditori prima di lui, e così ci sarà spazio libero per gli squali. Gli unici capaci di sopravvivere in un acquario simile. Inutile dire che queste storie non le racconta nessuno.

LA PROSSIMA DOMENICA 27 MAGGIO AL CASALE DEI CEDRATI SI SVOLGERÀ UNA MOBILITAZIONE PER CHIEDERE LA RIAPERTURA. CI VEDIAMO A VIA AURELIA ANTICA 219 DALLE 10 ALLE 13. CHI NON PARTECIPA È COMPLICE DEI FURFANTI CEH CI AMMINISTRANO E DI CHI GLI PERMETTE DI COMPORTARSI DA CAMORRISTI IN QUESTA MANIERA VESSANDO CHI OFFRE ECCELLENZA E ONESTÀ E LASCIANDO OGNI GIORNO SEMPRE PIÙ SPAZI ALL'IMPRENDITORIA MAFIOSA CHE STA UCCIDENDO LA CITTÀ.


Se domani poi il Casale potrà mai riaprire, nessuno risarcirà chi ha investito nell'utopia di poter ancora realizzare normali attività economiche sane nella città di Roma. 

PS. Con le associazioni di cui sopra, con i comitati di cui abbiamo raccontato, Sora Pinuccia Montanari, la nostra prestigiosa assessore all'ambiente, sta scrivendo il Regolamento del Verde. Lo sta scrivendo con loro. E ci potete mettere le mani sul fuoco: sarà un regolamento gradito a questi personaggi da ospedale psichiatrico e lontanissimo da qualsiasi esperienza che possiamo vedere e godere in ogni parco di Vienna, in ogni parco di New York, in ogni parco di Londra e così via. Una nuova, ulteriore, definitiva condanna. L'ergastolo civile.

Rubrica Proteste Stupide. Come quella per l'abbattimento di Villa Paolina a Viale 21 Aprile

22 maggio 2018
Bisognerebbe fare un blog apposito, o per lo meno una sottosezione di Roma fa Schifo esclusivamente dedicata alle proteste assurde dei romani. Il romano è un cittadino abbastanza pronto a protestare, ma mai e poi mai sulle cose davvero serie e profonde. Mai. Sempre sulle idiozie, sulle robe simboliche, sulle questioni di principio, mai nel merito, mai sulle faccende che davvero cambiano faccia alla partita del destino della propria città.
Guardate Roma in questi ultimi due anni. Raggi l'ha seviziata, torturata, le ha tolto ogni residua, plausibile e futuribile speranza di risorgere un domani. Eppure tutti muti. Dai partiti all'ultimo cittadino. Poi però basta un qualcosa che ha un qualche minimo e patetico valore simbolico e si presta all'indignazione condivisa (una delibera sulla Casa Internazionale delle Donne) e tutti si sollevano, l'angoscia serpeggia, la protesta monta, la piazza si riempie. Così come il nostro cuore si riempie di tristezza, la tristezza di chi legge chiaramente in filigrana che questa città non ce la può fare.

Un'altra protesta piuttosto ridicola - ne parleremo nei prossimi giorni - è quella contro la chiusura del Cinema Maestoso, per tacere delle ignobili petizioni contro un parcheggio interrato che si sta progettando e speriamo realizzando a fianco del già esistente parking Ludovisi, fino ad arrivare alla protesta per la demolizione e ricostruzione di Villa Paolina, un villino degli anni Venti ignorato per novant'anni (tant'è che come tutto il resto della zona è immerso in un contesto di profondo degrado) e oggi trasformatosi in un bene culturale inestimabile da tutelare a tutti i costi visto che è oggetto di un progetto di demolizione e ricostruzione. Politici, presidenti di municipio, comitati, intellettuali, associazioni (Italia Nostra in testa ovviamente, come ti sbagli!?). Tutti mobilitati perché una società ha ottenuto il permesso per demolire l'edificio e ricostruirlo in virtù della legge del Piano Casa regionale.

A Viale XXI Aprile i cittadini non protestano per la manutenzione delle strade, non protestano per gli ambulanti, non protestano per il verde abbandonato, non protestano per la doppia fila o per i cartelloni abusivi, non protestano per i cassonetti, per i catafalchi gialli della raccolta indumenti, per la monnezza dovunque, per i graffiti sui muri. No. Ma se qualcuno acquista un piccolo palazzo e legittimamente prova farci su un progetto di sviluppo immobiliare apriti cielo: chi sembrava morente, silente o dormiente si risveglia come per miracolo con tutto il suo novello senso civico. E col massimo dell'energia. Roma non deve cambiare mai, soprattutto deve rimanere capitale incontrastata del degrado più assoluto. Così fa comodo a chi manovra.

Dopo le tante protesta tuttavia i costruttori sono tornati sui loro passi e hanno incaricato fior di urbanisti di ripensare il progetto iniziale che effettivamente cambiava molto le dimensioni dell'edificio rispetto all'originale. Le nuove proposte riguardano un edificio più in linea con i circostanti, più studiato, più colto, molto più basso. Tuttavia il Comune invece di accettare le modifiche al progetto, sta puntando a bloccare la demolizione tout court con una Determina dirigenziale. Ovviamente il blocco non reggerebbe al TAR e così facendo (è il solito comportamento ideologico, cui l'amministrazione ci ha abituato), vincendo al tribunale amministrativo, il costruttore verrebbe autorizzato a procedere. Già, ma non col nuovo progetto più sostenibile e opportuno, bensì proprio col vecchio, il primo presentato, quello che ha scatenato le proteste. La rigidità del Comune non potrà insomma che fare gravi danni alla città e gravi esborsi di spese in studi legali e quant'altro con la nuova giunta. 

E perché la politica fa questo? Per demagogia, per populismo, per ideologia, certo. (Così si potrà dire: "noi ci abbiamo provato, ma i magistrati hanno dato il permesso al costruttore di andare avanti". E come fa la vecchissima politica si scaricherà la responsabilità). Ma anche per rispondere alle proteste idiote dei comitati e della gggente. Proteste di retroguardia, insomma, mirate solo a distruggere e non a costruire alcunché creano dei danni gravissimi e legittimano la politica a comportarsi in maniera pavida. 
E c'è una cosa che i cittadini non hanno minimamente considerato: la trasformazione urbana genererebbe quasi 700mila euro di oneri concessori. Significa avere le risorse per riqualificare le strade, significa connettere quest'area al pezzo già riqualificato (grazie ad un parking interrato, per l'appunto!) di Viale 21 Aprile, significa trasformare Largo 21 Aprile - oggi un incrocio squallido - in una piazza come non è mai stato. 

Non dialogare col privato, dunque, significa perdere soldi in cause legali perse in partenza, significa bloccare il territorio, impedire la creazione di nuovi posti di lavoro, impedire il miglioramento dell'arredo urbano del quartiere e, in definitiva, favorire la realizzazione del primo progetto depositato, molto più impattante dell'ultima versione. E la Soprintendenza? Che dice? E' stata sentita? Prima di revocare il progetto il Comune di Raggi e Montuori ha domandato a Prosperetti se gradisce o meno la nuova progettualità? O si rischia di stoppare un progetto che piace alle belle arti per poi vederne realizzato, via TAR, uno invece sgradito?

Insomma, prima di protestare, informatevi bene. Molto bene. Altrimenti finite nella "Rubrica Proteste Stupide" di Roma fa Schifo...

Amianto all'Esquilino. Interi condomini condannati e l'edificio è pure del Comune

21 maggio 2018
Ciao a tutti della zona... abito in via Principe Umberto all'Esquilino e scrivo perché sono molto preoccupata per ciò che viviamo ogni giorno nel nostro Rione...
Purtroppo vi devo segnalare la presenza di una grande tettoia contenente eternit (amianto) appartenente a un edificio chiuso e sottoposto a sequestro (l' ex Cinema Apollo) a pochi metri dall'affaccio del mio appartamento nel quale risiedo.
Questa tettoia esiste già dal lontano 1981, anno in cui io e la mia famiglia ci trasferimmo.

L 'attuale stato conservativo della tettoia presenta rotture evidenti con asportazione di materiali, lastre abbandonate in eternit in evidente stato di sfaldatura, detriti friabili che spolverano polveri sottili cancerogene e che nessuno da molto tempo si preoccupa di far rimuovere...



Tale situazione oltre a pregiudicare il decoro cittadino, crea un gravissimo allarme nella popolazione per il pericolo che incombe su tutti coloro che risiedono nella zona.

E' scientificamente dimostrato, infatti, che l'esposizione alle fibre di amianto è associata a malattie dell'apparato respiratorio (fibrosi polmonare carcinoma polmonare) e delle membrane sierose principalmente la pleure!
Io purtroppo sono 40 anni che vivo qui e purtroppo i miei genitori sono deceduti per tumore (addominale e polmonare) e all'interno dello stesso palazzo anche altri condomini deceduti per tumore polmonare.
Dopo continue segnalazioni effettuate dagli amministratori e condomini negli anni scrivendo alla Procura della Repubblica, Arpa, Asl, Carabinieri...non si è mai proceduto ad una bonifica e smaltimento di questi materiali, nonostante i progetti di recupero edilizio del famoso Cinema Apollo erano stati già da molto tempo resi noti!
Nel palazzo vivono 25 famiglie, tra cui molti bambini... nella zona siamo molti di più e non è assolutamente pensabile continuare a subire una situazione di assoluta emergenza di natura salutare.
ANGELA

*Cara Angela,

in tutto il mondo quell'edificio sarebbe valorizzato, trasformato, riqualificato. Tutti termini che a Roma sono visti come fumo negli occhi. La cosa più "simpatica"? Quando si è parlato di trasformare l'ex cinema in altro sono stati spesso gli stessi residenti a opporsi...
-RFS

Video. Siamo andati a vedere che fine hanno fatto gli alberi piantati in campagna elettorale

18 maggio 2018

Era domenica 11 febbraio, eravamo in piena campagna elettorale sia per le Poliche che per le Regionali e i nostri politici a 5 Stelle, contraddistinti da tutto il loro squallore non dissimile anzi perfino peggiore a quello dei politici che li hanno preceduti cosa facevano? Facevano propaganda nel modo più pecoreccio e pedestre, intortando gli elettori con azioni inutili e ridicole necessarie solo a gettare fumo negli occhi degli ignoranti e dei sempliciotti.
Quella domenica era la volta, per dirla col personaggio Daniele Diaco, della "riforestazione". Badate bene: tutte le città del mondo quando piantano alberi nello spazio pubblico lo fanno ordinando al vivaio arbusti già avviati, alti tre o quattro metri, capaci di sopportare il trapianto e la nuova condizione pedoclimatica. I nostri eroi invece, capitanati da Sora Pinuccia, cosa ti hanno fatto? Qui e in tutta la città hanno piantumato ramoscelli alti poche decine di centimetri incuranti che così avrebbero avuto una enorme percentuali di alberi morti, incuranti che sarebbero stati soffocati dalle erbacce, incuranti che così sarebbero con molta probabilità stati rubati e quant'altro.




Qui trovate la notizia di quell'intelligentissima e arguta iniziativa politica. Qui invece trovate addirittura il video, patetico, come di consueto modulato su un vocabolario ricco e forbito dei nostri politicanti a 5 Stelle ("noi siamo contrari alle politiche di deforestazione, ma invece siamo favorevoli alle politiche di forestazione") in puro stile "bello, bellissimo". 


"Restituire luoghi finalmente vivibili a questa città" ha dichiarato l'assesSora Pinuccia concludendo il suo accorato appello nella diretta di cui sopra. E allora questi luoghi "finalmente vivibili", dopo soli tre mesi (non trent'anni, non tre anni, tre mesi: meno di 100 giorni) siamo tornati a vederli. Ecco le condizioni in cui oggi versa il parco e le condizioni in cui oggi versano le piante "messe a dimora" durante la campagna elettorale. Semplicemente per farvi capire che questi sono non solo come gli altri, ma perfino un pelo peggio. Perché lavorano sull'ignoranza della gente, sulla predisposizione alla gente (specie quella debole e ignorante) ad essere raggirata. La cosa triste è che continuiamo ad essere gli unici a denunciarlo. Pubblici amministratori fingono di combattere i cambiamenti climatici, banalizzando questioni serissime con quattro stecchi secchi (pure se la manutenzione fosse stata perfetta sarebbe stato lo stesso identico discorso) e tutti muti. Si devono vergognare questi politici inqualificabili, ma si deve vergognare anche tutta l'opinione pubblica che non reagisce. 

C'è una piccola grande azione che comunque i cittadini residenti del III Municipio possono fare per reagire, la possono fare il 10 giugno votando per il professor Giovanni Caudo alle elezioni Municipali in quel municipio dove la Giunta dei pentaciarlatani è saltata per aria e dove dunque si deve votare di nuovo. 

PS. Cara AsseSora Pinù, le pecore brucano, vanno a mangiare l'erbetta bassa, ste erbacce di un metro e mezzo manco se fai venire i dromedari e le giraffe.

Sono stato 4 giorni ad Amsterdam e mi sono convinto che rispetto a noi stanno indietro

17 maggio 2018

















Ho trascorso 4 giorni ad Amsterdam e devo essere sincero, mi aspettavo di più.
Ho tentato di trovare lati positivi confrontati a Roma ma non ci sono proprio riuscito.
Spiego meglio:
Una delle cose che mi è saltata all'occhio ad esempio è stata la totale assenza di cartelli pubblicitari dei traslocatori attaccati con le fascette ai pali della luce (bene in alto per non farli rimuovere) e mi sono chiesto? ma questi come fanno se devono fare un trasloco o svuotare una cantina? Noi ne abbiamo uno che lo fa da sempre (per non parlare di quello della sabbiatura e di quello "cerchi lavoro?" o di quello "paghiamo noi se hai l'inquilino moroso" e potrei andare avanti fino al prossimo inverno). Tra l'altro non circolano furgoni...booooh!
Non ci sono adesivi attaccati ai pali della luce di individui che fanno opera di muratura e nemmeno adesivi attaccati alle saracinesche dei negozi di gente che ripara le serrande.
Pensate che al Burger King dell'aeroporto mettono a disposizione la corrente per ricaricare il cellulare...un po' scemi perché qualcuno se ne potrebbe approfittare. A proposito ecco forse una cose che c'è in comune con Roma è che per prendere il treno non ci sono tornelli.


Evidentemente ad Amsterdam buttano parecchi soldi perché le stazioni del treno (leggero) erano tutte appena rifatte, nuove senza nemmeno una scritta, pensate che spreco di denaro. Tra l'altro qui a Roma abbiamo un utilissimo servizio di rom sempre appostati alle macchinette che ti aiutano a fare il biglietto, li non ho trovato nessuno tutte le macchinette funzionanti ma NON presenziate. Altra cosa assurda hanno dei televisori alle fermate del tram, che spreco.
Pensate che quando una zona della città deve essere chiusa alle macchine, la chiudono davvero, cioè tramite apparati meccanici non si può proprio entrare, ma come fanno ad andare in macchina? Tra l'altro hanno dei simboli di divieto per le biciclette e li rispettano pure!! ma la bicicletta non da fastidio a nessuno perché rispettare i segnali? Altra cosa assurda: hanno i cassonetti INTERRATI cioè se uno vuole rovistare NON può farlo, ma come si fa ad essere così incivili? I cartelli stradali sono TUTTI intonsi, nessun adesivo, nessuna scritta ma non lo hanno proprio capito che è così coreografico vivere in una città tutta colorata? Niente scritte sui muri... che tristezza.
Hanno dei marciapiedi larghissimi e non li sfruttano con le bancarelle... ma se devo comprare mutande davvero devo andare in un negozio? Ho trovato un solo camion BAR di dimensioni ridicole veramente triste.
Ad un angolo addirittura ho trovato dei dissuasori in pietra per evitare di far parcheggiare le auto in curva, ma se devo sta 5 minuti dove la metto la macchina?
Sorvolo poi sul fatto che questi girino per la maggiore in bicicletta, ma vuoi mettere comprare una bella macchina, indebitarsi fino al midollo, farsi 2 ore di fila per arrivare ovunque, consumare come una aeroplano, lamentarsi che la benzina sia aumentata ma arrivare asciutto e al caldo? (magari per arrivare al tabaccaio a pagare il bollo della macchina).
Poi ne ho vista una assurda: un tizio s'è comprato il SUV ibrido e lo stava pure ricaricando... ma allora che te lo compri a fare se poi devi fare la figura dello scemo con il cavo elettrico tipo macchinetta per bambini e non avete idea di quante ce ne erano attaccate alle colonnine.
Insomma secondo me questi stanno molto indietro, devono ancora capire bene come crearsi ognuno il suo orticello privato calpestando qualsiasi regola civile e non per guadagnare faticando il meno possibile...

...o forse no.
LORENZO

Tutto Paolo Ferrara minuto per minuto. Orrido street food, rimborsi taxi e balneari di Ostia

14 maggio 2018
Ormai da due anni, ovvero da quando è diventato uno dei personaggi più in vista dell'amministrazione grillina, sottolineiamo lo squallore (squallore politico, beninteso, nulla di personale!) del personaggio Paolo Ferrara. Non è il solo chiaramente, compagni di squallore politico non gli  mancano a partire da Andrea Coia, tuttavia la figura di Ferrara è particolarmente cruciale e dunque da tenere d'occhio.

In questi giorni vale la pena ritornarci sopra perché Ferrara è protagonista di una serie di cosette che meritano visibilità. Non ci soffermeremo dunque sulla sua storia e sul suo curriculum ne sulle mansioni che assolveva quando lavorava in Finanza, ma ci concentreremo sui fatti dell'ultima settimana.
L'ultima faccenda in ordine di tempo è stata la querelle sui taxi. Abbastanza strumentale a dire il vero. Ma comunque da segnalare anche guardandola in filigrana attraverso un episodio di qualche mese fa che riguarda l'auto blu di Ferrara stesso (qui). Nonostante la vettura di servizio, insomma, pare che Ferrara non disdegni l'utilizzo dei taxi a profusione al punto tale da far arrabbiare i suoi compagni di partito più propensi a usare mezzi propri (pagando di tasca loro) o mezzi pubblici.

Ma per una persona così politicamente dannosa per la città e per un amministratore così scadente il problema non sono certo 400 euro di taxi al mese sebbene contestatigli dal suo stesso Movimento, perché amministrando male i danni che si perpetrano alla città assommano a milioni e milioni, non a poche centinaia di euro che Ferrara ha già in passato dimostrato (vi ricordate la storia dei McBook?) di avere in non altissima considerazione quando si parla di denari pubblici...


Una faccenda clamorosa, di cui poco si è parlato, è passata ad esempio su Report pochi giorni fa. Si parlava di Ostia e del racket dei balneari. Secondo le ricostruzioni del programma di Rai 3 emergerebbe infatti che tra tutti i mille criminali del lungomuro di Ostia, i 5 Stelle in questi anni si siano accaniti con particolare dovizia solo contro Libera, l'unica associazione antimafia a gestire un pezzettino di spiaggia libera in mezzo alla mafietta dei balneari. Contro di quelli nessun esposto a quanto sostiene Report da parte dei 5 Stelle lidensi capeggiati da Ferrara, contro invece Libera il veleno puro e la bava alla bocca. Naturalmente il fatto che al posto di Libera la spiaggia sia stata poi assegnata ad un amico di Ferrara (che poi Ferrara, nel suo stile ormai noto, ha fatto finta di non conoscere) è un puro caso, come potete ben evincere dal micidiale filmato messo su da Report. Da vedere e rivedere e condividere a tappeto per capire a pieno il personaggio. Ma d'altro canto Ferrara non è nuovo a mettere le manine nelle faccende balneari di Ostia, solo oggi (oggi, 14 maggio!) su Repubblica ha ammesso di aver sbagliato tutto: i chioschi sono stati buttati giù per fare scena, ma non sono state neppure rimosse le macerie e ora non c'è tempo per farli ripartire. Hanno fatto casino - salvo poi arrivare ad ammettere l'errore - pur di dare addosso al lavoro straordinario di Alfonso Sabella. Risultato? La stagione balneare è compromessa, i chioschi non esistono più e così ne traggono vantaggio gli stabilimenti tradizionali. Sempre loro guarda un po'...



Una terza storia emersa in questi giorni riguarda una imbarazzante manifestazione sullo street food svoltasi questo finesettimana ad Ostia. Mentre il Municipio e il Comune massacrano i commercianti per fargli togliere i tavolini all'aperto - di fatto unica fonte di sostentamento per le aziende locali -, il X Municipio si è prodigato per assegnare il Pontile di Ostia ad una fantomatica organizzazione piemontese che apparecchia "festival internazionali" di street food. Il Pontile, per anni luogo di rappresentazioni teatrali e di inviti alla lettura con reading e presentazioni di libri, si è trasformato in un puzzolente antro di cottura di salsicce e di farcitura di panini con la porchetta. Intendiamoci: i mangiari di strada sono una cosa molto molto seria. Specie in Italia che è epicentro mondiale di questo genere di leccornie, da Palermo a Venezia. E specie a Roma, che con la sua storia del cibo di strada, dal supplì alla pizza a taglio per arrivare ai successi del contemporaneo trapizzino ha fatto scuola ed è una delle capitali mondiali. Ostia dovrebbe avere l'ambizione di essere un luogo di mare tra i più ambiti, eleganti, pregiati del mondo. Unica località balneare ad avere una grande capitale a portata di metropolitana. Per certi versi solo Barcellona o New York possono vantare un atout simile. Tutto si può fare ad Ostia, ma tutto ma deve essere fatto al massimo della qualità.
La rassegna di street food lo era? A giudicare dai commenti dei cittadini sui profili social no: "a parte un paio di camion, il resto erano panini da stadio" ha scritto più di qualcuno, mentre molti hanno lamentato disorganizzazione. In ogni caso non si è fatto il minimo lavoro di ricerca, non si è valorizzato lo steet food locale (potentissimo e ambitissimo nel mondo con nomi che stanno conquistando il pianeta), non c'era neppure mezzo soggetto di alta qualità, ci si è limitati a lasciare l'organizzazione ad una società torinese selezionata chissà come, che probabilmente offre un prodotto standard, senza infamia ne lode. Creando un pericolosissimo precedente in un'area delicata che dovrebbe essere sì concessa, ma solo ad eventi di eccellenza. I vendors dovevano essere 30, erano una decina. E di certo non hanno accresciuto la cultura gastronomica del pubblico. C'è stata una polemica micidiale nei giorni precedenti con l'opposizione sulle barricate e nei giorni di montaggio il Municipio si era dimenticato di autorizzare il passaggio degli orribili camion nell'area pedonale (!) così i vigili li stavano pure per multare. Insomma un caos, ma a dispetto del caos il nostro Paoletto cosa faceva? Esultava sui social come suo solito fregandosene di coprirsi di ridicolo. Perché per il suo elettorato di bocca particolarmente buona (sia politicamente che gastronomicamente), nulla è scadente e nulla è ridicolo. 

Sia chiaro che non siamo qui a declinare un accanimento personale contro Ferrara, sia altrettanto chiaro che nel giorno in cui Ferrara diventerà un amministratore serio e all'altezza saremo i primi a sostenerlo, ma per ora non possiamo non sottolineare tutta la nostra vergogna e tutta la nostra umiliazione nel sapere una capitale occidentale in mano a personaggi che in un contesto normale non avrebbero la credibilità e l'autorevolezza neppure per amministrare un piccolo condominio.

ShareThis