Il Casale della Cervelletta sta crollando. Una storia assurda (un'altra!)

30 gennaio 2019

Quello che potremmo chiamare il Paradosso della Tutela visto in salsa romana, anzi romanara. Della serie: più ti impegni a difendere un pezzo di patrimonio e più lo porti verso l'estinzione inevitabile.

Prendi un casale del Milleduecento con tanto di torrione medievale. Mettici sopra tutti i vincoli del caso: paesaggistici, architettonici, monumentali. Praticamente qui, stando alle norme, non si può fare nulla. Praticamente nulla. L'unica strada sono investimenti pubblici a fondo perduto da parte dell'ente proprietario del bene che però risorse non ha, non avrà mai e quando le avrà si troverà senz'altro nell'impellenza di investirle altrove.

In strutture come queste potrebbero nascere dei piccoli e peculiari progetti di ricettivo e hotellerie iper curata, potrebbero nascere location per il cinema o originali complessi di uffici. Il tutto ovviamente sotto la sorveglianza delle belle arti quanto a utilizzo e restauro. 
In questo modo gli investimenti affluirebbero, ci sarebbero i soldi non sono per restaurare l'edificio e manutenerlo, ma anche per sistemare il grande spazio verde circostante che potrebbe ospitare eventi, piccole rassegne, incontri, selezionati matrimoni. Il tutto al fine di generare risorse per la manutenzione.

I vincoli, concepiti all'italiana, rendono impossibile tutto ciò. Rendono utopistico qualsiasi sfruttamento commerciale (sebbene sano, controllato, di altissima qualità) di un bene come quello ipotetico che abbiamo descritto. Il risultato è che il bene viene abbandonato, magari occupato, senz'altro degradato. E infine crolla trasformandosi dopo centinaia e centinaia di anni di vita in un rudere morto pronto ad essere divorato dalla vegetazione. 

Che tutela abbiamo ottenuto, dunque?
Il bene ipotetico di cui abbiamo parlato, peraltro, ipotetico non è. E' un bene reale, tangibile, capace di trasformarsi in opportunità e invece obbligato dalle norme (obbligato dalle norme!) ad essere un problema, tra l'altro irrisolvibile. Stiamo parlando del Casale della Cervelletta, che come spiega il coordinamento di associazioni "Uniti per la Cervelletta" sta crollando. Il crollo secondo i comitati che hanno spedito un drone sulla sommità della torre per le ispezioni del caso, sarebbe addirittura "probabile in tempi brevi".
C'è da dire che la soluzione che danno i comitati è una soluzione... da comitati! Ovvero chiedono soldi al Comune (proprietario sciagurato dell'immobile dal 2001) pur sapendo che il Comune non ne ha, anzi pur sapendo che il Comune ha solo debiti a furia di perpetrare questo atteggiamento. Un bene così bello, così ben collocato in un parco naturale, così affascinante può GENERARE DA SOLO i denari che occorrono per manutenersi e restare vivo negli anni e nei secoli. 
Ma volete mettere com'è più facile applicare anche qui come altrove l'ideologia della tutela, del bene culturale imbalsamato, intoccabile, "tutelato" e "salvaguardato" (guardate che bella tutela e salvaguardia...), dell'edificio che fu vacchereccia, stalla, pollaio e porcile e dove oggi rappresenterebbe uno scandalo illegale l'apertura di un ristorante!? Volete mettere com'è più semplice - invece di pianificare, fare bandi seri, controllare gli assegnatari - invece assegnare anno dopo anno ad associazioni sempre più improbabili invece di innescare una valorizzazione seria frutto di una visione, di una pianificazione pubblica e di un inevitabile accordo di gestione che veda una collaborazione tra il pubblico e il privato!? Volete mettere com'è più "serio" ricorrere alle grigliate a 8 euro a persona e al volontariato laddove invece si potrebbe ricavare lavoro vero, opportunità per tanti e qualità per tutti, turisti inclusi?

E' il genere umano che decide coscientemente di suicidarsi e, prima di suicidare se stesso, di demolire tutto quello che ha costruito in millenni di civilizzazione. Dal Parco degli Acquedotti a Villa Ada, da Villa Borghese alla Caffarella, la città è piena zeppa di edifici con queste caratteristiche: potrebbero generare ricchezza, lavoro, risorse, qualità, spazi comuni davvero fruibili e invece servono solo a alimentare l'ideologia di qualche tipico "ragionier Filini" romano e consentono al Comune di fare quel che gli viene meglio: non fare, fare nulla.


Sgomberare Casa Pound subito! A Roma NON esiste alcuna emergenza abitativa

29 gennaio 2019
Oggi l'Assemblea Capitolina ha approvato con tutti voti positivi salvo 4 imbarazzanti consiglieri di destra e leghisti una mozione (che vale quel che vale una mozione, dunque potenzialmente molto molto poco) sullo sgombero di Casa Pound.
Speriamo che ora ci si muova per davvero: sciò!

In questi giorni si sta ad esempio sgomberando il palazzo vergognosamente occupato a Via Carlo Felice, bene. Ma lo sgombero non deve restare l'unico. Deve partire una serie di sgomberi per riportare la legalità in città in maniera integerrima. Lo schifo inquietante delle occupazioni a Roma è prosperato negli ultimi anni con la scusa e dietro l'invenzione costruita della "emergenza abitativa". Ma si tratta di un plateale raggiro.

Se hai le possibilità economiche di vivere a Roma, sei benvenuto a Roma. Se hai modo di accedere alle case popolari, sei benvenuto nelle case popolari. Se hai dei parenti e non riesci a pagarti l'affitto, vivi dai parenti come fanno migliaia di persone che rifiutano di rivolgersi all'illegalità e al mercato nero degli appartamento.
Se invece non riesci a vivere in centro, vai a vivere in estrema periferia o addirittura nell'hinterland come TANTISSIMA GENTE ONESTA che vive a Gaeta, a Pomezia, a Carsoli, a Cerveteri, a Viterbo (o altri luoghi dove gli affitti sono irrisori) e ogni giorno pendola in città prendendo il treno al mattino presto e tornando la sera verso l'ora di cena dopo il lavoro. Una cosa che a detta di queste finte associazioni benefiche che operano in nome del diritto alla casa appare come una violazione dei diritti umani, una violazione che però è la normalità per svariate centinaia di migliaia di persone che ogni mattina si mettono sul treno a Latina, a Caserta, a Terni e vengono a lavorare a Roma. Potrebbero anche loro prendere con la forza un appartamento a Via Carlo Felice, a Piazzale delle Province, a Via Santa Croce in Gerusalemme o a Piazza Vittorio senza pagare nulla e vivendo alle spalle della società, ma non lo fanno.

A questa gente che si sacrifica ogni giorno stando nella legalità dobbiamo il ripristino della civiltà negli immobili occupati illegalmente nella capitale. Questa gente non solo lavora e fatica il doppio per mantenere anche i paraculi che occupano, ma è costretta anche a pagare direttamente di tasca propria questa situazione incresciosa. I proprietari degli immobili occupati, infatti, stanno maturando il diritto di chiedere allo stato dei cospicui risarcimenti: tu non hai sgomberato? Tu non mi hai tutelato con le forze dell'ordine che io da taxpayer pago profumatamente? Tu, stato, te ne sei inpippato di ripristinare la legalità sperando di poter risolvere problemi di ordine pubblico servendoti del mio immobile? Bene, ora mi paghi. Ma i soldi dello stato sono soldi di tutti noi. I soldi che lo stato dovrà restituire ai proprietari sono soldi tolti ai servizi, agli asili nido, agli ospedali, all'assistenza degli anziani e ai trasporti pubblici proprio di quei cittadini onesti che si spaccano la schiena ogni giorno per comportarsi in maniera retta. Questo è semplicemente inaccettabile. Questo significa mettere gli uni contro gli altri i cittadini onesti che si impegnano a comportarsi seriamente con i cittadini furbi che si impegnano a trovare le falle del sistema per profittarsene. E' una guerra civile nella quale lo stato si mette dalla parte dei cattivi facendo finta di considerare i cattivi dei bisognosi: ebbene non è così, non è quasi mai così.

Al netto di alcuni casi di disagio circoscritti e agevolmente gestibili grazie a Ater e servizi sociali, NON ESISTE EMERGENZA ABITATIVA A ROMA. Si tratta appunto di un disagio indotto, di una narrazione pura e semplice, di una invenzione dei gruppi di potere che utilizzano questa scusa per gestire consenso e sacche di ricatto sulle quale da anni indaga la magistratura. E' un racket che sfrutta persone in difficoltà che in altre città, in luogo di essere sfruttate, si sarebbero organizzate diversamente. Appunto andando a vivere un po' fuori e smettendo di essere ostaggi (ostaggi!) di gruppi criminali indifferentemente di destra e di sinistra.

Purtroppo Roma è un mero paesone da 3 milioni scarsi di abitanti, non ha un mercato immobiliare fuori controllo come le grandi capitali della finanza (Londra) o le città che generano Pil considerevoli (Parigi) e non è manco lontanamente appetibile a compratori, investitori internazionali e speculatori immobiliari come Milano. Ne consegue che il mercato degli affitti è del tutto gestibile per chi lavora, per i tanti invece che guadagnano poco è sufficiente spostarsi fuori dai quartieri più centrali per poter affrontare i costi, ed è quello che tutti fanno anche se sarebbe più comodo abitare a pochi metri dalla stazione Termini come i dritti di Casa Pound o di fronte agli scintillanti parchi del Laterano come i paraguru di Action. Se poi prendete un compasso e fate la circonferenza dei luoghi raggiungibili con un'ora o un'ora e mezza di treno (NON TRE ORE!) scoprirete località dove il costo degli affitti è semplicemente irrisorio. Irrisorio. In virtù di questo parlare di emergenza abitativa serve solo a strumentalizzare il disagio e insultare chi di fronte alle difficoltà si industria invece di lamentarsi.

Non esiste una emergenza casa ma esiste eccome una enorme emergenza legalità che tiene alla larga investimenti e investitori. Gli stessi investimenti che potrebbero dare risposte immediate e risolutive a chi oggi non si può permettere una abitazione dignitosa. Se solo la metà degli edifici occupati fossero rimessi sul mercato con seri progetti di riqualificazione urbana e rigenerazione, i posti di lavoro che si genererebbero (e gli oneri che il Comune potrebbe incamerare, poi direzionandoli all'assistenza dei più bisognosi) doppierebbero il numero di cittadini in eventuale difficoltà abitativa. Rendiamoci conto che follia surreale che è stata creata dalla pessima politica per giustificare l'esistenza di quelle che sono in tutta chiarezza mafiette romane da scalzare e stroncare quanto prima. Aiutateci. Non solo con le mozioni...

Primo Municipio: solo flop sui lavori pubblici! Dopo Via Galvani, Piazza delle Cinque Scole

28 gennaio 2019
Guardate queste due immagini qua sotto. Non siamo a Roma, siamo a Firenze ma in una piazza che per caratteristiche, dimensioni, distanza-vicinanza rispetto al cuore della città e ruolo avuto fino a qualche anno fa è molto assimilabile a Piazza delle Cinque Scole di cui parleremo nell'articolo. 

Piazza del Carmine era uno sconfinato e orribile parcheggio a cielo aperto. Grazie al sostanziale buon governo che caratterizza la gestione di Firenze da svariati anni, si è optato per quasi-eliminare la sosta in superficie e riqualificare il tutto all'insegna di un arredo urbano di qualità capace di fare decisamente la differenza.


 Come Piazza del Carmine a Firenze, Piazza delle Cinque Scole è da sempre l'enorme parcheggio a cielo aperto dei quartieri circostanti e dei tanti ristoranti del circondario. A Firenze è San Frediano, a Roma è il Ghetto o Campo de' Fiori. 

Così come a Firenze, anche a Roma sono stati trovati i soldi per riqualificare la piazza, ma le cose non sono andate alla stessa maniera. Mentre a Firenze si è optato - nonostante le proteste dei residenti e dei commercianti - di lavorare con coraggio e di portare avanti un progetto di qualità, a Roma si è pensato esclusivamente al consenso spicciolo e al piccolissimo cabotaggio specialità della casa mettendo da parte qualsiasi visione, qualsiasi progettualità di eccellenza per il bene della città, qualsiasi rispetto per turisti, pedoni, cittadini che hanno deciso di non usare la macchina e qualsiasi tutela per patrimonio e beni culturali (tra le altre cose in piazza c'è la Fontana del Pianto di Giacomo Della Porta). Tu cittadino per bene puoi fare tutte le scelte civili che vuoi, ma poi comunque devi vivere in un oceano informe di lamiere abbandonate anche nelle piazze più affascinanti del mondo. Ehggià perché qui c'è l'unica differenza tra le due piazze: quella di Firenze, pur importante, non ha neppure lontanamente la rilevanza storico-artistico-architettonica di quella di Roma.

Nonostante la disponibilità economica dunque (un maxi appalto da oltre mezzo milione di euro utile per mettere le mani oltre che sulle Cinque Scole anche su Piazza Bernini e su Piazza del Biscione oltre che su alcune strade attorno al mercato Trionfale. Tutti progetti pensati e realizzati deprimentemente alla romana: qui la relazione tecnica), si è optato a quanto pare per lasciare la piazza come era prima: una specie di garage a cielo aperto, una sorta di sfasciacarrozze nel bel mezzo della città e di fronte al grande Tempio ebraico di Roma. Piazza delle Cinque Scole era caratterizzata per avere tantissimi posti auto di coi una percentuale enorme abusivi e dopo i lavori avrà tantissimi posti auto di cui una percentuale enorme abusivi: vedrete verso la primavera quando i lavoro saranno finiti. 
Invece di lavori di riqualificazione, di rigenerazione e di rifunzionalizzazione delle piazze, a Roma come fossimo fermi agli anni Sessanta o Settanta si fanno lavori di "ripavimentazione". Se andate sul sito di Sabrina Alfonsi (presidente del I Municipio dal quale dipendono i lavori) o se ascoltate le dichiarazioni di Jacopo Emiliani Pescetelli (assessore ai lavori pubblici, notoriamente geniale) loro dicono proprio così: "ripavimentazione". Qui si trattava invece di delineare gli spazi per il passaggio dei mezzi a motore, disegnare una strada e salvare tutto il resto come area pedonale, dare spazio a dei bei dehors di ristoranti e immagianare giusto qualche stallo per carico e scarco e per portatori di handicap, fine. Ma questo doveva essere ricompreso nell'appalto, non si può certo fare dopo a cantiere chiuso. Significa che nulla di questo si farà.  

Giudicate voi se (PD contro PD) sono pazzi quelli del PD fiorentino o se invece sono pazzi quelli del PD romano. Noi qualche idea ce l'abbiamo. Resta il fatto che se il Comune piange (grazie all'amministrazione raccapricciante di Virginia Raggi) di certo il Primo Municipio - il più importante della città - non ride. È qui che si dovrebbero sperimentare i modelli di proposta e di racconto politico alternativi alla narrazione pentecatta e invece siamo totalmente fermi a 40 anni fa nell'ambito della tristezza più assoluta e alla logica malata e impensabile da qualsiasi altra parte del mondo del posto maghina. E pensare che sono mesi che qui, a causa del cantiere, le auto non ci sono più e di certo non è morto nessuno. Anzi.

Di più: il 16 luglio scorso sul tema si è svolta una commissione in Campidoglio, convocata da Enrico Stefàno il quale chiedeva a gran voce la pedonalizzazione di questa e di altre piazze (Piazza del Biscione appunto, ma anche gli scandalosi Largo Ascianghi, Piazza in Piscinula, Piazza Nicosia,  e tutta l'area del Teatro di Pompeo, luoghi magici oggi ridotti a rivoltanti garage). La commissione pare non aver sortito granché anche a causa della presenza dei soliti "cittadini" che reclamavano la piazza come fosse la loro autorimessa personale... Residenti talmente scalmanati che la commissione ha dovuto subire per oltre un'ora i loro sproloqui sulle Cinque Scole senza potersi occupare delle altre piazze. Ma davvero tre residenti in vena di esagerazioni possono decidere per tutti in un territorio che è patrimonio Unesco e che dunque tutto dovrebbe essere fuorché un parking a cielo aperto?

Centinaia di migliaia di euro di soldi pubblici gettati al vento per rifare dei sampietrini che poi verranno utilizzati come autorimessa in una delle zone più pregiate del pianeta terra, in piena area Unesco. Dopo la storia ridicola di Via Galvani (informatevi e soprattutto andate a vedere le condizioni della strada oggi!), il Primo Municipio replica con Piazza delle Cinque Scole, l'unica riqualificazione urbana a caro prezzo che non sposterà di una virgola i problemi. Eppure, come dice la presidente Alfonsi nel suo sito, questa è "una delle piazze più belle" di Roma. Quale luogo migliore per fare un parcheggio!?


Centocelle migliora ma è solo grazie ai privati. Il Comune l'ha abbandonata

27 gennaio 2019
Come si ben sa, uno degli autentici drammi di Roma e una delle più schiette cause del suo declino è l'atteggiamento dell'imprenditoria privata. Un misto di cialtronaggine e incapacità manageriale priva di visione e di qualità che lavora, quasi sempre, contro (contro!) i propri interessi.

Tutto questo è vero, ma sono anche vere, concrete e corpose le eccezioni. Ci sono molti casi, insomma, di imprenditoria di qualità e di impegno autentico e sano che mettono ancor più in evidenza la maggioranza di commercianti ed esercenti sciatti e ciarlatani. 

Ancora più vero però è un postulato: a Roma i commercianti\imprenditori faranno anche pietà, ma la parte pubblica è perfino peggio. Come in una gara ad essere più pressappochisti, superficiali, cazzari.

Centocelle è un caso emblematico in questo senso. Nell'ex impenetrabile quartiere orientale fatto di degrado e simbolo stesso di lontananza e marginalità, gli imprenditori si sono oggettivamente mossi tanto. Da ormai 10 anni una imprenditoria quasi sempre giovane, quasi sempre sana (si iniziò con Pro Loco di Vincenzo Mancino e poi a cascata tanti altri bellissimi nomi) ha via via colonizzato il quartiere favorendone una gentrificazione moderata, all'insegna di impegno e serietà. 



E tu comune, che ormai da svariati anni hai un quartiere difficile e distante che diventa una nuova centralità e da solo (da solo!) si gentrifica grazie alle idee di tanti piccoli e piccolissimi imprenditori che fai? La cosa più ovvia che farebbe qualsiasi amministrazione da qualsiasi parte del mondo è procedere ad una riqualificazione di alcune aree del territorio. Fare alcune piccole isole pedonali, riqualificare le strade principali del quartiere, realizzare qualche pista ciclabile e se possibile istituire o manutenere meglio le aree verdi.


A Centocelle tutto questo non è stato fatto neppure minimamente. A fronte dell'impegno dei privati, il Comune ha voltato le spalle al netto della costruzione della Metro C. Zero riqualificazioni urbane, zero progetti. Le strade principali del quartiere sono oggi come erano 20 o 40 anni fa. Anzi peggiori. Tor de Schiavi (da qui il video) è piena di cartelloni abusivi da far paura (la riforma del comparto, iniziata da Marino, è stata bloccata dai 5 Stelle per tutelare il racket dei cartellonari), lo spartitraffico invece di ospitare verde, ciclabili o corsie preferenziali è pieno di auto in sosta abusiva. Via dei Castani, da par suo, è piena di esercizi commerciali che andrebbero valorizzati ma pare di stare a Bucareste nel 1982, col tranvetto che passa in mezzo alla strada dovendo fare a spallate con le mille auto in sosta selvaggia.

Basterebbe la riqualificazione di queste due strade per sprigionare in quest'area nuovi investimenti a questo punto non solo commerciali ma anche immobiliari, alberghieri e quant'altro. Me nessuno ha questa lucidità e questa visione che pure il sindaco di Civitavecchia o di Frascati avrebbero...

Ma le centinaia di vigili urbani neoassunti servono davvero a qualcosa?

25 gennaio 2019
Come tutti possono ben capire, il numero di addetti in un'organizzazione non fa, da solo, l'efficienza di quell'organizzazione. Puoi avere 100 persone che battono la fiacca in maniera scandalosa ed essere assai meno produttivo di un concorrente che ha 5 persone che macinano con costrutto e serietà.

Indubbiamente a Roma servivano nuovi Vigili Urbani, perché lo dicono i numeri e le statistiche. E infatti da poco alcune delle assunzioni promesse da un concorso svoltosi ben nove anni fa (!) sono state sbloccate. In due tranche prima entreranno 350 nuovi addetti e poi ne arriveranno altri in una tranche simile. Ammesso e non concesso che chi era idoneo nel 2010 possa esserlo ancora oggi, ma vabbè...

La pianta organica prevista per la Polizia Locale di Roma supererebbe gli 8000 addetti e con queste assunzioni non si arriverà neppure a 6000, questo però non può e non deve spaventare eccessivamente: tutti noi siamo abituati a lavorare fronteggiando le difficoltà e facendo di necessità virtù, ma questo non ci impedisce di lavorare in maniera efficiente ed efficace in seno alla nostra azienda (fanno eccezione i dipendenti comunali e delle partecipate!). Questo blog, ad esempio, con la sua pagina Facebook attivissima, le risposte a tutti i cittadini, il profilo Instagram, Twitter ecc dovrebbe essere gestito da un team di almeno 25 persone, ma così non è e si fa quel che si può in quanti si è, senza accampare inutili scuse.

Effettivamente negli ultimi mesi, dopo le assunzioni del 1 giugno e dopo il periodo di addestramento (ve li ricorderete questa estate e subito dopo coi fratini fluorescenti), i neoassunti si sono iniziati a vedere in strada (benché molti siano riusciti ad imbucarsi). Ma quale è il valore della presenza fisica in strada se non si è realmente efficaci?

Il problema dei nuovi caschi bianchi romani, con ogni probabilità, è che sono stati formati dai vecchi caschi bianchi romani! Hanno avuto dai colleghi anziani indicazioni su ciò che fare (tollerare ogni cosa, far finta di non vdere, non fare mai qualcosa in più di quello che è richiesto o prestabilito, non essere proattivo o troppo efficiente per non mettere in difficoltà i colleghi che invece preferiscono andar con molta calma ecc) e su ciò che non fare (non rompere le scatole ai negozianti riguardo alla doppia fila, considerare trasparenti le bancarelle, non sanzionare chi non si ferma alle strisce, non curarsi degli standard di servizio di tutto il resto del mondo) all'insegna insomma di una clamorosa continuità quando invece sarebbe stata richiesta e necessaria una discontinuità assoluta.

Bisognava inculcare a questi giovani uno spirito di servizio del tutto diverso da quello dei colleghi anziani e di mezza età che, con le dovute eccezioni ovviamente, non rappresentano in media un esempio e non garantiscono standard accettabili di erogazione del servizio. E invece è andata proprio al contrario e già oggi, a 6 mesi dall'assunzione, i ragazzi si sono trasformati in... vigili romani!

Quando arrivano in zone infestate dalla doppia fila invece di multare fischiano on comprendendo quanto questo sia profondamente diseducativo per i meschini cittadini che violano il Codice della Strada; parlottano tra loro e se ti avvicini scopri che si parla di tutto fuorché di lavoro; nelle aree centrali si ispezionano con accuratezza i fondoschiena delle turiste seguendole con lo sguardo, sovente si fuma in servizio e, soprattutto, si staziona al semaforo in nome di qualche bizzarro ordine di servizio.  

Ma voi avete notizia se in altre città, anche italiane, esista questa organizzazione per cui il Vigile Urbano sta fermo al semaforo, magari dentro ad un casottino come se l'impianto semaforico non fosse in grado di fare il suo dovere in automatico?  L'incrocio è l'unico punto dove NON serve l'apporto dei vigili, e invece spesso sono assiepati lì. Inspiegabilmente. Forse, appunto, perché è l'unico luogo in cui c'è poco lavoro da sbrigare. Casottini come ci sono a Roma (e c'è gente che si lamenta anche che sono sempre vuoti... per fortuna che lo sono!) non ci risultano in altre città italiani di pari grado come ad esempio Milano. A Milano i vigili stanno in giro, in macchina, in bicicletta, in motorino; molti stanno in ufficio davanti alle telecamere a far multe a manetta; altri controllano i commercianti. Di certo non stanno a chattare al telefonino dentro ad un casottino all'incrocio. 

Insomma operando in questo modo la città avrà più costi (centinaia di stipendi in più, pagati da tutti noi con risorse che verranno tolte da altri servizi) e non necessariamente maggiori servizi visto il livello di produttività e organizzazione del lavoro di queste new entries. Ne è riprova il fatto che, a parte una sensazione visiva di leggera maggior presenza, nessunissimo problema è stato risolto, neppure quelli incancreniti e noti a tutti (chessò la doppia fila sull'Appia? L'isola pedonale di Fontanella Borghese trasformata in parcheggio? La sosta selvaggia dentro a Piazza Farnese? E così via...). 
Ma cosa importa, tanto si potrà dire che i vigili sono comunque pochi rispetto alla legge che ne prevede 8400 per Roma. La stessa legge che di fatto impedisce - anche grazie ai sindacati - di obbligare le persone a lavorare con efficienza, impegno e risultati misurabili pena il licenziamento.

Insomma, invece di festeggiare con i neoassunti (ve lo immaginate il primo cittadino di Londra e di Parigi...?), la Sindaca dovrebbe vigilare affinché la loro presenza non si trasformi in qualcosa di totalmente inutile, capace solo di indispettire ancora di più cittadini e contribuenti. Ormai, anche qui, sembrerebbe essere però troppo tardi.

Increscioso a Piazza Navona. I banchi sequestrati ai Tredicine sono ancora lì

17 gennaio 2019
Poche parole per introdurre il filmato qui sotto all'interno del quale in 5 minuti avete tutte le informazioni e l'immagine su questa ennesima, patetica, agghiacciante storia regalata alla città dalla incapacità, dalle connivenze, dal clientelismo e dalla idiozia ideologica del Movimento 5 Stelle il cui monocolore sgoverna Roma da 31 mesi di fila. 

Come vi abbiamo raccontato in mille articoli la mostruosa Fiera della Befana in Piazza Navona era stata smontata. Ignazio Marino aveva posto fine allo schifo. O si faceva bene (e ci si è provato con un bando) oppure non si faceva affatto (e infatti l'avevano sospesa e la piazza era stata liberata). Appena arrivati al potere i grillini, affamati di clientele e vogliosi di favorire le famiglie dell'ambulantato, hanno fatto di tutto per riallestire la Fiera. Visto che era sotto l'egida del Primo Municipio, che giustamente non voleva rischiare di riconsegnare tutta  la piazza ai soliti, il Comune dopo decenni gliel'ha sottratta portandola sotto le competenze comunale. A quel punto, preso possesso della Fiera, si è realizzato un bando in fretta e furia, fatto male, scadente, cialtronesco. Un bando, come avevamo scritto, che poteva essere vinto solo dai soliti. Perché - sebbene questa cosa si potesse aggirare - premiava l'anzianità. Cioè chi aveva ridotto ad un letamaio la manifestazione, invece di essere punito veniva favorito. E naturalmente tutte le eccellenze gastronomiche e agroalimentari della città dovevano restare fuori.


I risultati li abbiamo documentati: la Fiera della Befana in Piazza Navona è stato uno spettacolo spettrale, ripugnante, regno della tristezza e ritratto impeccabile del declino di questa città. Ciliegina sulla torta il sequestro per illeciti di alcuni banchi affidati dal famoso bando che andava fatto a tutti i costi. Costi quel che costi. Ecco i risultati. A livello politico, tuttavia, non ha pagato nessuno. Ne l'assessore vergognosamente pro-bancarellari che abbiamo, ne il presidente di commissione pro-bancarellari che abbiamo. Nessuno. Tutti continuano ad amministrare e a fare più danni della grandine. Il precedente assessore che si era opposto a questo schifo è stato cacciato via in malo modo. 


Passeggiare a Piazza Navona e rimpiangere perfino Alemanno...

Roma è una città finanziariamente fallita. Qui vi spieghiamo come ce lo nascondono

11 gennaio 2019

Come in un puzzle, guardando le singole tesserine non si coglie il disegno complessivo, ma collegandole una all’altra i contorni si chiarificano ed appare, passo dopo passo, l’immagine complessiva del quadro.
Le tesserine, fatte di personaggi, di norme di legge, di eventi e di fatti, si sono succedute nel tempo ed ora il disegno si è composto. Enumeriamole insieme, per renderle maggiormente riconoscibili.

·        Testo Unico Enti Locali – Decreto legislativo 18 agosto n° 267 (ed una serie di leggi collegate, non sempre di chiara interpretazione), che contiene delle norme che riguardano i comuni che hanno bilanci dissestati. Questa legge prevede molte limitazioni all’agibilità dell’amministrazione in tema di assunzioni di personale, di pagamenti di fornitori di beni e servizi, eccetera. Ma soprattutto l’articolo 141, lettera c), prescrive che il consiglio comunale può essere sciolto nel caso in cui il bilancio non sia stato approvato nei termini di legge.

·        Carla Maria Raineri, magistrato, nominata dalla sindaca Raggi capo di gabinetto, dopo che aveva rivestito l’incarico di capo dell’anticorruzione del Comune di Roma, su designazione del Commissario Tronca.

·         Marcello Minenna, primo assessore al bilancio della giunta Raggi. Curriculum di tutto rispetto. Profilo professionale suggerito dall’ex capo di gabinetto Carla Maria Raineri.

·         Andrea Mazzillo, dottore commercialista, grillino, assessore al bilancio nominato in sostituzione del dottor Minenna, sul cui curriculum vi furono polemiche. Presentò dimissioni “spintanee”, a seguito di polemiche e contrasti con la sindaca Raggi dopo che aveva osato dire a Sergio Rizzo di Repubblica che «Qui serve una svolta, continuando così andiamo a sbattere. Va a sbattere tutta la città».   Successivamente escluso dalle parlamentarie del M5S. Praticamente epurato dal M5S.

·         Gianni Lemmetti, assessore al bilancio della giunta Raggi: nell’ambito della sua professione ha maturato esperienze nella gestione degli Enti non Commerciali di tipo professionale, culturale e sportivo. Ha fatto anche il cassiere alla discoteca Seven Apples. Grillino doc ritenuto più ortodosso del dottor Mazzillo, proveniente dal Comune di Livorno, giunta Nogarin. Dalla sua l’esperienza del concordato preventivo della Aamps, azienda partecipata che si occupa di raccolta e smaltimento dei rifiuti del Comune di Livorno. Chiamato a Roma forse proprio per gestire il concordato preventivo dell’ATAC.

·         Armando Brandolese, amministratore unico di ATAC, dimessosi a seguito delle dimissioni del capo di gabinetto, dottoressa Raineri, a causa delle ingerenze dell’assessore, da lui ritenute inaccettabili.

·         Marco Rettigheri, ex direttore generale ATAC, dimessosi i primi di settembre del 2016 a seguito delle dimissioni del capo di gabinetto della sindaca, Raineri e dell’amministratore unico, Brandolese, con le stesse motivazioni.

·         Il credito di circa 500 milioni di euro che il Comune vanta nei confronti dell’ATAC e che, se svalutato, come avrebbe dovuto essere svalutato, avrebbe determinato il dissesto finanziario del Comune, paralizzando l’amministrazione grillina.

·         Alessandro Solidoro, noto commercialista milanese, anch’egli con un curriculum professionale di prima fascia, suggerito dalla dottoressa Carla Maria Raineri, primo amministratore unico di AMA sotto la giunta Raggi, dimessosi anche lui ai primi di settembre del 2016 a seguito delle dimissioni della sua sponsor.

·         Stefano Fermante, ex ragioniere generale del Comune di Roma, dimessosi dalla carica a fine settembre 2016, dopo aver consegnato alla sindaca Raggi una relazione di venti pagine sullo stato delle finanze capitoline dopo aver confidato ai suoi collaboratori di non avere un indirizzo politico, essendosi l’assessore al bilancio dimessosi dal 1° settembre, e di non poter sopportare da solo le enormi responsabilità derivanti dal suo incarico.

·         L’OREF (l’organo di revisione economica e finanziaria del Comune di Roma). È costituito da tre professionisti indipendenti (il presidente, dottoressa Federica Tiezzi, ed i componenti, dottor Marco Raponi e dottor Carlo Delle Cese). I suoi componenti restano in carica per tre anni e sono indicati con Deliberazione dell’Assemblea Capitolina, ma questi sono stati nominati dal Commissario Straordinario con delibera del 12 febbraio 2016, a seguito dell’estrazione a sorte tra i nominativi inseriti in un elenco dei Revisori degli Enti Locali tenuto dal Ministero dell’Interno, svoltasi il 20 gennaio 2016. Sono quindi svincolati dal potere politico ed esprimono i loro pareri sulla base delle leggi e delle norme tecniche e di comportamento dettate dagli organismi internazionali che regolamentano l’attività revisione contabile.

***
L’OREF così costituito, con relazione del 28 settembre del 2017, non approva il bilancio consuntivo consolidato del Comune di Roma dell’anno 2016, esprimendo un giudizio di non veridicità della reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria del gruppo.
Ciò malgrado la giunta capitolina, con delibera del 29 settembre 2017, lo approva (fatto più unico che raro in presenza di un parere negativo!). L’assessore ortodosso Lemmetti, che aveva risposto con controdeduzioni alla relazione dell’OREF, balbettando qualcosa di imbarazzante circa la mancata riconciliazione dei saldi debiti/crediti tra il Comune e le partecipate,  dichiarò:
“Il Bilancio Consolidato 2016 ci fornisce una rappresentazione veritiera e corretta dello stato del Gruppo Roma Capitale. Non produce effetti sui conti già approvati dell’ente o delle società, ma contribuisce a migliorare l’attività di monitoraggio nei confronti delle partecipate ed è quindi uno strumento importantissimo per fondare le decisioni da assumere per la loro riorganizzazione. Non a caso verrà approvato parallelamente al Piano di riordino e razionalizzazione delle partecipate già varato da questa amministrazione”“


L’assessore al bilancio Lemmetti dichiarò infine che l’OREF fa politica! I revisori indipendenti dell’OREF! Lui no eh! Ma andiamo avanti.
In data 22 febbraio 2018 l’Organo di Revisione, dopo alcune rettifiche apportate al bilancio, emise un nuovo giudizio sul bilancio. In particolare dichiarò che “i dati esposti nel bilancio consolidato dell’esercizio 2016, salvo le riserve espresse circa la riconciliazione dei saldi diretti tra AMA SPA e ATAC Spa, rappresentino l’aggregazione delle risultanze dei conti economico, patrimoniale e finanziario del Gruppo Amministrazione Pubblica di Roma Capitolina”.
Il 26 aprile del 2018 l’OREF raccomandava di accelerare le procedure di riconciliazione dei saldi con le società partecipate. In pratica, ad esempio, se nel bilancio dell’AMA risulta un credito nei confronti dell’amministrazione comunale di 1.000, nel bilancio del Comune deve risultare un debito di 1.000 verso l’AMA. Se così non è, le risultanze contabili di uno sono contestate dall’altro e viceversa.
La questione non è di poco conto: se l’AMA ha in bilancio un consistente credito verso il Campidoglio e il Campidoglio lo riconosce in misura molto inferiore, i casi sono due: o ha ragione uno o l’altro e, conseguentemente, una delle due parti deve procedere ad una svalutazione del credito nel proprio bilancio, aprendo un’altra falla nei conti che ha conseguenze devastanti, considerati gli importi in gioco.

Dalla relazione dell’OREF al bilancio 2017 si legge:
·         a seguito delle operazioni di riconciliazione tra Roma Capitale e AMA, permangono ancora le criticità sulla corrispondenza dei rispettivi saldi di bilancio tanto da avere determinato la necessità di una riformulazione del progetto di bilancio da parte del cda di AMA SpA;
·         la mancata approvazione del bilancio AMA 2017 da parte del socio unico Roma Capitale alla data odierna non consente di valutare l’impatto sul patrimonio del Gruppo Amministrazione Pubblica.
Ma non solamente per questo motivo i revisori non hanno espresso una relazione positiva all’approvazione del bilancio. L’Organo di controllo ha fortemente criticato l’esclusione dall’area di consolidamento (in altre parole, l’esclusione di alcune società sovra indebitate dal bilancio consolidato) di ROMA METROPOLITANE e di FARMACAP, dichiarando che la deliberazione della Giunta Capitolina n° 161 del 9 agosto 2018 era illegittima, perché adottata in violazione del Decreto Legislativo n° 118/2011.

Per la cronaca, ROMA METROPOLITANE non ha ancora approvato i bilanci del 2015, 2016 e 2017.
Da notizie di stampa risalenti al luglio 2018,  la Procura di Roma ha chiuso le indagini relative all’appalto per la realizzazione della Metro C e sono in 25 a rischiare il processo per reati che vanno dalla truffa (per 320 milioni di euro) alla corruzione e al falso.  Possiamo comprendere le ragioni per cui l’amministrazione M5S (a colpi di maggioranza) ha adottato la delibera di esclusione della società dal perimetro del consolidamento del bilancio in violazione della legge.

Farmacap ha il bilancio 2015 in attesa di approvazione da parte dell’assemblea capitolina. È stato solamente approvato dall’ex Commissario Straordinario “Salvo eventuali e successive verifiche da parte degli organi di controllo”. Da quel bilancio risultano debiti per oltre 22 milioni di euro a fronte dei quali dichiara crediti verso clienti per 7 milioni di euro e crediti verso controllanti per 2,3 milioni di euro circa, più le rimanenze di magazzino per quasi 5 milioni di euro ed altri crediti di difficile pronta esigibilità, come i crediti per imposte anticipate per oltre 3,7 milioni circa.
Non si hanno tracce dei bilanci 2016 e 2017 e della reale situazione patrimoniale e finanziaria.
Per la vicenda FARMACAP la Procura di Roma, ai primi di maggio del 2018, ha chiesto il processo per il suo commissario straordinario, Angelo Stefanori. Quest’ultimo, nominato dalla giunta Capitolina di Virginia Raggi, è indagato con l’accusa di calunnia e minacce perpetrate ai danni dell’ex dg, Simona Laing. Lo scontro tra i due risale a febbraio 2017 quando proprio Stefanori silura la Laing accusandola, con una serie di denunce in procura, di aver favorito nell’assegnazione di un appalto della municipalizzata delle case farmaceutiche. Ma non solo. Stefanori contestava alla Laing di aver di fatto «falsificato» il bilancio di Farmacap per farlo figurare in attivo. Secondo Stefanori dunque l’ex dg sarebbe colpevole dei reati di corruzione e turbativa d’asta. Ma dalle indagini dei carabinieri dei Nas, coordinate dall’aggiunto Paolo Ielo e dal PM Nadia Plastina, emerge un’altra verità: nessuna mazzetta, nessuna alterazione di bilancio e un lavoro trasparente da parte della Laing. Stefanori è dunque ora accusato del reato di calunnia e, da ieri, ufficialmente rinviato a giudizio!


***

Peraltro l’esclusione del bilancio dell’ATAC dal perimetro del consolidamento consente (legalmente) di non inserire l’indebitamento dell’azienda nel consolidato del Comune di Roma. Il credito del Comune di Roma verso ATAC è di circa 500 milioni di euro ed il piano concordatario prevede che sarà soddisfatto per ultimo, cioè dopo il pagamento dei creditori chirografari. La manovra da mesi è vista con diffidenza dal ragioniere generale, Luigi Botteghi (proveniente dalla Ragineria del Comune di Rimini e voluto dalla Raggi), che a gennaio aveva sottolineato il rischio di “riflessi contabili sul bilancio di Roma Capitale” e che “in tal modo si riduce ancora più la probabilità, già minimale, di recupero almeno parziale dell’ingente massa creditoria”.
L’OREF emette la stessa relazione negativa per il bilancio 2017. Il motivo fondamentale è che nell’area di consolidamento del bilancio non sono state inserite tre società super indebitate: Lemmetti (l’ortodosso) dichiara alla stampa di non comprendere le ragioni dell’OREF. Il bilancio 2017 viene approvato malgrado la relazione negativa dell’OREF, e se ne può comprendere la ragione, poiché sulla giunta pende il Testo Unico sugli Enti Locali, con le sue previsioni in caso di bilanci dissestato e di commissariamento.
Quali sono le conclusioni alle quali si perviene? Collegate le tessere del puzzle emerge che col giochino (di dubbia legalità) di escludere società ultra indebitate, delle quali non si conosce neppure l’effettivo ammontare delle passività, dal perimetro del bilancio consolidato e dell’esclusione (legale – perché in concordato preventivo) del bilancio ATAC, che ha consentito al Comune di non svalutare il proprio credito nei confronti dell’azienda dei trasporti, è stata celata la reale consistenza patrimoniale e finanziaria del comune di Roma, per sottrarsi alle procedure previste dalla legge nei casi di dissesto, che possono condurre sino allo scioglimento della Giunta ed al  commissariamento del Comune di Roma.

Il concordato preventivo dell’ATAC, ammesso che sarà adempiuto nei termini che esso prevede (in caso contrario la dichiarazione di fallimento per risoluzione per inadempimento è un automatismo previsto dalla legge fallimentare) ha l’effetto di salvare la giunta Raggi. Che sarà adempiuto verso i creditori e che il Comune incasserà il credito di oltre 500 milioni dall’ATAC, anche se tra 25 – 30 anni, non ci crede nessuna persona ragionevole.

Roma è in dissesto finanziario: questo lo dicono, se non bastasse girare per la città e vedere in che stato è ridotta, le manovre per nasconderlo ed i molti fallimenti di imprese che hanno svolto appalti per il Comune e non sono state pagate. Ma il dissesto finanziario non si può e non si deve ammettere, violando la legge alla faccia dell’onestà sbandierata sui blog e sui social, perché il Testo Unico sugli Enti Locali prevede conseguenze che per la giunta e per il movimento sarebbero gravissime.
Le conclusioni politiche sono persino più gravi. Il M5S, che aveva fatto della legalità la propria bandiera, incaricando inizialmente personaggi di alto profilo professionale che avevano creduto alle intenzioni della Raggi & C., se ne è disfatto quando questi hanno messo la legge avanti a tutto.
Il M5S si è trasformato in una setta esclusiva che ammette solamente chi è fedele alla linea e demonizza chi, al proprio interno, resta fedele proprio ai principi fondanti del movimento.
Non sono come gli altri, sono peggio di chi li ha preceduti, perché la setta prevede il plagio dei propri adepti e la demonizzazione di chi ne esce e l’esclusione da ogni incarico di chi non si conforma alla linea. Siamo amministrati da gente molto, molto pericolosa. E lo dicono le disamine tecniche prima ancora che le constatazioni politiche o di buon senso.

Giorgio scappa da Roma, si stabilisce a Milano e qui si sfoga

4 gennaio 2019

Ultimo scatolone sigillato.
Valigie pronte, casa ormai praticamente vuota.
Conto e riconto la lista delle scatole da far salire sul camion, controllo che non sia rimasto fuori niente, mi preoccupo ancora di sollecitare gentilmente ACEA nell’inviarmi i moduli per la voltura del gas: l’ho chiesto da 15 giorni, ad ora non ho avuto risposta.
Sarà il periodo di iper-lavoro, o sarà che - tendenzialmente - poco gliene frega.
Lascio un bellissimo appartamento in un quartiere una volta bellissimo, ora ridotto in stile Beirut post-bombardamento: i marciapiedi sono inagibili, le lamiere impediscono di percorrere quelle - poche - parti ancora calpestabili.
Ufficialmente il maxi-quartiere si chiama Gianicolense, ma tutti gli abitanti lo chiamano “Monteverde”.
L’origine del nome sembra provenire dalle vecchie cave di tufo verde che, ormai oltre un secolo fa, avranno sicuramente dato un bel colore naturale alle collinette che compongono la zona.
Ora, di verde credo ci siano solo le tasche di chi si svena per acquistare un appartamento in questa zona: i prezzi sono da mazzata secca, in certe parti (nella zona dei famosi ‘villini’, oppure nella parte vecchia verso via Alessandro Poerio) sfondano gli oltre € 4.000 a metro quadrato.
Per carità, la zona è storica, residenziale e tranquilla: forse troppo tranquilla, visto che non ci passa la metro e che l’unico vero mezzo per non morire isolati è il tram numero 8 o (ma secondo alcuni sembrerebbe trattarsi di una creatura mitologica) il famigerato bus H.
Se non ci fosse il tram, una zona popolata da circa 150.000 residenti sarebbe praticamente isolata non solo dal centro, ma pure anche dalla semplice stazione di Trastevere.
Forse è per questo che ogni famiglia ha in media tre automobili, che ovviamente parcheggia perennemente sulla strada: i box, i posti auto ed i garage ci sarebbero - non molti, ma ci sono - ma perché spendere € 100 al mese quando puoi trovare posto sul marciapiede, magari dopo aver girato 135 volte attorno al tuo isolato e perso 40 minuti della tua giornata?

L’importanza di parcheggiare ‘a maghina

A Monteverde, ma in tutta Roma in generale direi, ci sono auto che stanno ferme nello stesso punto per settimane, se non mesi: magari solo la terza o quarta auto della famiglia e, finché nessuno si deciderà di mettere finalmente una zona blu a pagamento (rigorosamente DA PAGARE anche per i residenti), tali vetture rimarranno a soffocare il quartiere per sempre.
Nei circa dieci anni che ho vissuto a Monteverde, mi sono slogato due volte le caviglie cadendo (letteralmente) in due crateri scavati in marciapiedi che neppure Bagdad durante pesante bombardamento combinato anglo-americano.
C’era un ragazzino qui nella zona pregiata dei ‘Villini’, lo conoscevano tutti: purtroppo, era un povero sfortunato tetraplegico.
Non solo al padre i bastardi occupavano abusivamente il posto invalidi faticosamente ottenuto in concessione, ma per far uscire il povero infelice e portarlo anche solo al pacchetto di Largo Ravizza era ogni giorno un’avventura.
Tra macchine parcheggiate in doppia o tripla fila, marciapiedi totalmente impercorribili anche per un normodotato di gambe, merde di cane che Arale si troverebbe nel suo paradiso ideale, il povero genitore, già in sofferenza per il proprio figliolo, doveva fare la gincana e la corsa agli ostacoli ogni santo giorno, ovviamente ripiegando poi quasi sempre per transitare - pericolosamente ma obbligatoriamente - sulla carreggiata, spingendo la carrozzella del ragazzo.
Ogni volta che vedevo quel poveraccio tentare anche solo di uscire dal portone - con un cazzo di SUV a sbarragli la trada di fronte, oppure un’altra cazzo di Smart di merda messa per traverso - mi saliva una rabbia generalizzata non solo verso i residenti, ma verso chi permetteva loro di UMILIARE così tanto un essere umano, già peraltro umiliato dalla sorte avversa.

L’amministrazione capace per gente capace

Monteverde, così come Roma tutta, ha l’amministrazione non solo che si merita, ma che gli calza a pennello: incapace in quasi tutti i settori, incompetente a livello di gestione, logistica e marketing, lassista con doveri e responsabilità, violenta ed arrogante col debole e meschina e servile col potente.
Da ragazzo pensavo che questi problemi, questi mali diciamo, fossero appannaggio di un po’ tutto il Paese, e non solo di Roma; crescendo e viaggiando, ho constatato che Roma è “la Capitale” in tutti i sensi: non ho visto mai (mai, lo ripeto) nessun altro posto d’Italia con tale degrado non solo sociale, ma oserei dire ‘strutturale’.
Se a Palermo fottono 10, a Roma la ‘struttura’ creata in anni ed anni di lassismo e pessima gestione, ti fotte 100, forse 1000.
Lassismo e cattiva gestione perpetuati grazie al voto compiacente dei romani; a volte, anche del mio.
Il decadimento socio-economico cittadino, che solo agli occhi di chi non è nel settore terziario da anni pare scoppiato tutto d’un botto, altro non è che la fine di un lungo periodo di stupri che la piccola-media economia cittadina (essenziale in ogni grande metropoli e fondamentale anche nei paesini) ha accettato, firmato e deciso di subire. E con gioia, anche.
Amministrazioni incompetenti non esisterebbero se la maggioranza dei residenti s’intendesse un po’ di economia aziendale, di mercato e di mercatologia.
Ma la maggioranza della gente non ha mai avuto un’impresa - seppur piccola - non sa eseguire uno scorporo d’IVA, non sa cos’è l’IRAP, non sa fare distinzione tra un bilancio consuntivo e preventivo, non è assolutamente in grado di organizzare manco un trasloco di casa, figurarsi occuparsi della logistica di un’azienda, ad esempio.
Roma e la sua economia sono morte e sepolte perché è da almeno vent’anni che i cittadini hanno smesso di contare, affidandosi piuttosto al lamento come arma di distrazione di massa (e sfogo).
Dico venti ma in realtà basterebbero anche dieci, e se qualcuno era a Milano dieci anni fa e c’è riandato ora sa perfettamente di cosa parlo.

Un degrado che parte da non troppo lontano

Posso dire una cosa senza che i soliti ‘honesti’ mi spaccino per piddino, per colluso, per mafioso o per corrotto, senza nessun tipo di avvisatore acustico orario a casa?
Il degrado di Roma, specie della sua amministrazione, parte da lontano ma... Non troppo.
Guardando PIL ed interventi strutturali della città, gli ultimi fondi spesi seriamente, rinnovando pesantemente il tessuto urbano e portando i vantaggi di cui tutti ora stanno godendo (che all’epoca però, ovviamente, crearono caos e disagi) furono quelli che gestì Francesco Rutelli durante la propria gestione di Roma.
Sì, quella ormai ‘storica’ a ridosso del Giubileo del 2000.
Con una giunta competente, Rutelli fece uscire Roma da decenni di isolamento, trasformandola in una metropoli più o meno moderna.
Dico ‘più o meno’ perché tutte le massicce opere realizzate durante quegli anni, benché appunto strategiche e fondamentali, non furono comunque sufficienti a portare a compimento il cambio e la trasformazione cittadina.
Complice un mandato scaduto, certe scelte scellerate dell’allora PDS e la venuta di un pessimo Sindaco come Walter Veltroni, il famoso ‘Mister Lottizzazione’.
Negli anni di Rutelli, anche Milano guardava con una certa invidia e rispetto Roma: se l’economia viaggiava su ben altri livelli - mi spiace per leghisti e grillini - il vantaggio non era di quella merdosa moneta che avevamo e che volava perennemente in iper-inflazione, ma fu un progetto condiviso e a lungo termine, durato anni, in cui l’amministrazione decise di uscire dalla merda.
Perché cambiare si può, quando ci sono le condizioni e le possibilità.

Milan l’è un gran Milan... Ora, però

È notizia abbastanza recente quella in cui Milano è stata considerata come la città (parlando di metropoli, s’intende) più vivibile d’Italia.
La cosa personalmente non mi sorprende: negli ultimi tempi, ho praticamente passato più tempo a Milano che a Roma, e ho potuto apprezzare il grande sforzo per il rinnovamento totale che la città ha sostenuto nell’ultima decade.
Uno sforzo condiviso dalla sua amministrazione, a livello inter-partitico, dal tessuto produttivo e anche dai cittadini.
Uno sforzo che è costato molto ma che ha dato indietro un ritorno d’investimento decisamente eccellente.
Milano 15 anni fa era Roma: io c’ero, me la ricordo bene.
Un accumulo di lamiere, sporcizia, grigio, inquinamento e gente che parcheggiava praticamente davanti a San Babila, e si sentiva legalizzata a farlo.
Poi, l’amministrazione ha deciso di cambiare. E l’ha fatto, con un progetto condiviso e di lungo respiro.
Certo, gestendo anche bene i fondi dell’EXPO, come peraltro Rutelli e la sua giunta gestirono bene i fondi del Giubileo.
Si può dire questo, evitando d’essere accusati di far parte di Mafia Capitale da gente che mediamente occupa posizioni che non le competono, visto che ci sono curricula che non permetterebbero neppure di pulire i cessi da Mc Donald’s?
Ora Milano è una città moderna, molto meno grigia e depressa di come lo era pochi anni fa, in cui muoversi in maniera sostenibile non solo è possibile, ma è la scelta primaria (per quelli dotati di buon senso e logica, ovvio), in cui il tessuto economico vede l’intreccio di tante tipologie di servizi, anche un incredibile nuovo settore terziario che, diciamocelo, i milanesi si sono costruiti da soli e da zero.
Tutto ciò è costato fatica, cantieri, lavori, cambi d’abitudini nefaste e una buona dose di rigidità e tolleranza zero da parte dell’amministrazione verso piccoli e grandi abusi che, di fatto, poi alla fine regolano il vivere quotidiano.
Un esempio rapido? Dissuasori pressoché ovunque sui marciapiedi, da Via Brera a Viale Monza.
Curve degli stessi rifatte, strette, protette da paletti e che rendono impossibile il parcheggio selvaggio sopra il mattonato.
Cordoli per le preferenziali dappertutto, che rendono impossibile la doppia fila.
Il milanese imbruttito medio, ovviamente, abituato per decenni a parcheggiare praticamente dentro l’androne del suo palazzo, sicuramente avrà masticato amaro, e sicuramente avrà inveito contro l’amministrazione, ma poi si sarà trovato obbligato a comportarsi bene e, in ultima battuta, s’è trovato una città percorribile a piedi senza corse ad ostacoli, e senza prendere un jet a decollo verticale per uscire dal portone di casa.

A Roma devi soffrire

Forse, me la prendo troppo.
Forse, Roma è destinata ad essere così.
Forse, dovevo anch’io abituarmi allo schifo del lago di siringhe usate che vedevo al Parco di Centocelle negli anni ‘80, alla pila di rifiuti che si formava dopo ogni Natale sotto casa mia davanti ai secchioni, al lassismo e all’ignoranza dei miei compagnucci di scuola, che s’ingollavano di Girella e buttavano la plastica per strada, anche quando a soli due metri c’era il secchio.
Forse, dovevo abituarmi anch’io alla sciatteria, alla speranza - anzi, all’epoca era una certezza - del ‘posto fisso al Comune’ a fare il meno possibile, ad evitare di applicare i regolamenti con buon senno, ad interpretare la legge in favore del cittadino e non in favore della voglia di fare sempre il minor compito auspicabile.
Forse. Ma non l’ho fatto.
Non l’ho fatto ed è per questo motivo che ogni volta che sono dovuto andare in Municipio, dal banale rinnovo della Carta d’Identità alla SCIA per l’apertura di un’attività, ho sofferto.
Ho sofferto quando ho dovuto spiegare al solerte istruttore comunale che, vivendo solo con una madre gravemente invalida, non potevo farla uscire di casa senza pericoli, per via del marciapiede devastato dove è già caduta una decina di volte.
Ho sofferto quando due tecnici del SUAP - uno alla scrivania di destra ed uno a quella di sinistra nella stessa stanza - sciorinavano pareri diametralmente opposti sulla stessa, grave problematica (un accidenti di muro in cartongesso divisorio della mia attività), facendomi perdere sei mesi di tempo, oltre 2.000 Euro e 200 grammi di fegato.
Ogni volta che vedevo una maledetta automobile salire di prepotenza il marciapiede di Via del Babuino - perché qualche genio, durante la comunque ottima ristrutturazione, ha scordato di far installare semplici dissuasori - io vi dico che soffrivo.
Io soffrivi quando dovevo aspettare il 719 per un’ora e mezza solo per arrivare ad una metro che, seppur in linea d’aria molto vicina, è di fatto un miraggio per tutti quelli che vivono nell’abbandonato - amministrativamente - quadrante della Gianicolense-Portuense.
Soffro ogni volta che vedo un articolo impietoso su “Roma fa Schifo”, perché... Roma fa schifo davvero. E per un romano ammettere questo è sofferenza.
Soffro ogni qual volta sento parlare i soliti radical-chic, che in vita loro non hanno mai preso compasso e riga in mano manco alle scuole medie, parlare di ‘sbegulazione’ per ogni progetto serio che invece riqualificherebbe la montagna di letame post-guerra di cui Roma è vergognosamente fatta.
Tutti architetti, tutti ingegneri, tutti lì a decretare ‘sbegulazione’ ogni maledetta idea di recupero del territorio.
Io soffrivo e ancor soffro, ma evidentemente la maggior parte dei romani no.

A 30 chilometri dal centro, non ci toccate ‘a maghina

Lo ‘sbattersene i coglioni’, il lassismo come stile di vita, il ‘ma bbasta che parcheggiamo ‘a maghina’, il ‘vabbè ma Roma è grande’ e cazzate simili, che sento ripetere come un maledetto mantra sin da quando ho memoria, evidentemente sono ‘must have’ intellettuali e comportamentali dei cittadini dell’Urbe.
Ormai, di ciò ne ho praticamente certezza: esattamente come il lavativo che cerca lavoro e poi prega un qualsiasi dio di non trovarlo, anche il romano medio si lagna costantemente dello stato in cui è piombata la città ma non ha invero nessuna intenzione di far cambiare le cose.
Non si spiega sennò la vena masochistica di circa 2.800.000 persone - solo nell’area del vecchio Comune di Roma - che, da almeno 15 anni a questa parte, hanno scelto quasi sempre i peggiori soggetti politici a cui affidare le loro vite.
Dal 2000 al 2017, in Italia gli stipendi medi sono cresciuti tra l’1,4 e l’1,7%, a fronte di un tasso di inflazione medio annuo di circa 3% (che fa oltre il 50% su base di diciassette anni).
Se il dato fa già paura da solo, a Roma diventa ancora più orribile: durante la bolla immobiliare, questa città ha visto i prezzi di tutte le zone - in particolare modo quelle periferiche e meno pregiate - rincarare con picchi fino al 300%.
Ovviamente l’amministrazione locale, invece che contrastare il fenomeno tentando di riqualificare le aree depresse e modernizzare quelle di pregio (consentendo dunque ai nuovi schiavi dei mutui trentennali di non morire in solitudine, Porta di Roma docet), inasprendo quindi l’emarginazione sociale e l’esclusione di oltre due milioni di residenti da una vita perlomeno dignitosa.
Piuttosto, s’è deciso di ghettizzare ed umiliare ancor di più chi è stato costretto da un mercato letteralmente impazzito ad andare a vivere a 20 o 30 chilometri dal centro.
Come? Facendo fallire ATAC e la sua folle politica di tolleranza estrema (leggasi: lassismo) verso gli abusivi del tornello, togliendo le corse e le linee, riducendo al minimo indispensabile la manutenzione del parco mezzi, evitando quanto più possibile la costruzione di nuove linee di tram, rimanendo completamente indifferenti alla richiesta di corsie preferenziali per i bus (sennò ‘e maghine dove si parcheggiano?), gestendo la ZTL di uno dei patrimoni mondiali dell’Unesco con un piano semplicemente schizofrenico (attualmente non esiste ancora una ZTL continua e, soprattutto, unificata negli orari!), permettendo ad aziende palesemente inadempienti di proseguire appalti milionari per infrastrutture cardine come le metropolitane e.... Veramente, qui ci vorrebbero un’altra ventina di pagine elettroniche solo per elencare tutte le operazioni VIGLIACCHE che questa sciagurata città ha perpetuato nei confronti dei propri cittadini; quelli, per intenderci, che per un motivo o per l’altro non volevano o non potevano scegliere ‘a maghina come mezzo di locomozione.

Chi ha distrutto il TPL romano?

Per la cronaca: io odio le autovetture, almeno in una metropoli moderna.
Nel 2018, una città che voglia definirsi tale la riconosci non solo per il numero di esseri umani che riesce a stipare, ma anche (e forse, soprattutto) per la qualità di vita e di servizi che essa riesce a garantire.
Un efficiente sistema di trasporto è uno dei servizi cardine di questo supposto.
Altrimenti, Calcutta (che pure ha una rete su ferro invidiabile!) oppure Città del Messico od ancora Il Cairo, se si prendesse ad esempio solo il numero di gente che ammassano, sarebbero posti idilliaci.
Così proprio non è.
Un efficiente Trasporto Pubblico Locale è quindi indispensabile per garantire la mobilità dei residenti, e deve essere costantemente potenziato ed accordato al numero degli stessi, comprensivo anche di tutti gli ‘esterni’ (turisti, pendolari, viaggi d’affari, ecc.) che comportano un ulteriore aggravio al muoversi quotidiano della città.
È semplicemente impensabile pensare ad un 100% di cittadini che si muovono ogni giorno con mezzi privati: neppure nei sobborghi di Cleveland (dove ho vissuto ed in cui il trasporto pubblico fa abbastanza schifo) è ipotizzabile la totalità dei cittadini a muoversi con le autovetture proprie!
Se questo è ben chiaro alle maggiori metropoli europee, americane, cinesi e giapponesi, a Roma la cosa è stata sempre sottostimata.
Il problema del TPL romano ha origini antiche ma neppure troppo, a ben vedere: nell’immediato dopoguerra, Roma aveva una rete su ferro invidiabile per davvero, tra le prime d’Europa.
Il ‘tramvetto’ copriva quasi tutta l’estensione cittadina, ancora non stuprata in ogni orifizio possibile dal potere dei ‘palazzinari’.
I guai cominciarono dagli anni ‘70 in poi, per acutizzarsi e divenire cronicizzati a fine anni ‘80: piano piano si sono smantellate infrastrutture su ferro di superficie utili, per far posto ai nuovi quartieri e preferendo costantemente il trasporto privato.
La costruzione della Metro A, ad esempio, fu un calvario degno delle peggiori amministrazioni sudamericane, che durò ben oltre il limite dei consegna dell’opera: fu ostacolato in ogni mezzo possibile (i soliti ‘comitati di quartiere’, e se non ci credete rivedetevi le cronache del ‘Messaggero’ dell’epoca), il consorzio che costruì l’opera lavorò in modo dissennato ma, incredibilmente, il progetto almeno fu completato.
Cosa che di certo non si può dire della Metro C attuale, al momento moncata a San Giovanni (e molto probabilmente, senza grandi speranze di continuare oltre i Fori Imperiali).
Rivedere tutto il percorso accidentato che ha portato a ritardare di così tanto i lavori della Metro C, gli sbagli, le inadempienze, gli errori e le omissione di entrambe le parti (consorzio e Comune) credo sia impossibile da sintetizzare: se lo volete (e volete soffrire ed incazzarvi) vi consiglio l’ottimo blog del “Comitato MetroxRoma”, poiché posto più completo d’informazioni e dettagli sul web davvero non c’è.

Prenditi anche tu un fantastico bilocale in estrema periferia a 3.000 Euro al mq, dai!

Chi ha ben pensato di acquistare una casa a 30 chilometri dal centro, per gentile concessione delle lottizzazioni selvagge della giunta Veltroni, negli anni d’oro del mattone romano?
Tanta gente, a giudicare dal NTN (Numero Transazioni Normalizzate) nel periodo della bolla immobiliare: un settore, quello edilizio, che arrivava a fatturare 2/3 (considerando l’indotto) di tutto il PIL romano.
Di rimando, l’altra domanda che i romani dovrebbero farsi ora che la bolla è scoppiata dovrebbe essere: chi ha permesso la costruzione di interi ed enormi quartieri-dormitorio bruttissimi, scomodissimi, isolati da tutto e da tutti, buoni solo ad aumentare la percentuale di impermeabilizzazione del territorio e il livello di smog?
Già, perché proprio nessuno in questi 15 anni di amministrazione romana s’è fatto seriamente due calcoli sull’effettiva convenienza di indire la circolazione a targhe alterne e i blocchi domenicali quando invece migliaia di metri cubi di (brutto) cemento, tutti contornati da altrettanto orribili centri commerciali, causano sì l’agglomerarsi di inquinamento spaventoso.
Perché? Perché questi quartieri a decine di chilometri dal centro della città, non essendo serviti da nessun mezzo pubblico efficace, obbligano i residenti a spostarsi con i mezzi privati!
Sul serio, pensate davvero che un blocco delle macchine a targhe alterne ogni morte di Papa può mai far scendere il livello di polveri sottili ed inquinamento vario quando ogni santo giorno centinaia di migliaia di romani s’intasano tutti su Prenestina, Tiburtina, Collatina, Casilina, GRA e tutte le altre consolari per ritornare ai loro quartieri-dormitorio?
Se davvero lo pensate, vi meritate davvero di pagare un mutuo tombale persi nel traffico, nell’inquinamento e nella certezza che le cose non miglioreranno mai.

Zona a Cervelli Limitati

Quando venne istituita la prima ZTL romana, a metà degli anni ‘90, come al solito il romano medio cominciò a sbraitare e ad infuriarsi, sempre per il solito, annoso problema del ‘ce levate er posto a ‘e maghine!’.
Ovviamente, per tali buzzurri, era molto più praticabile ed urbanisticamente ineccepibile continuare ad usare San Giovanni o Piazza del Popolo come enormi parcheggi gratuiti a cielo aperto.

Se è quello che vi meritate...

La verità è che la maggior parte della popolazione romana è lassista.
E adora esserlo.
La verità è che gran parte della popolazione si davvero di sprofondare nel letame e nei rifiuti, come si merita di morire bruciata dentro un bus vecchio di 15 anni senza più olio nel motore, si merita che i piccini crescano giocando sopra a cumuli di topi morti ed immondizia.
Si merita il peggio, perché quello ha comunque voluto: se è refrattaria ad ogni tipo di cambiamento (leggasi il referendum sull’ATAC, ignobilmente boicottato!), che la smetta di lamentarsi e continui a vivere nella perenne indigenza strutturale, nella parvenza di civiltà, nel sogno (che mai si realizzerà) di una metropoli europea, che di europeo ha solo il collocamento geografico.
Buon decadimento nel vostro bilocale a Centocelle comperato a 200.000 Euro, buone bestemmie ogni mattina quando pesterete una merda di cane che vi farà spaccare la caviglia su un cratere lasciato lì sul marciapiede che ormai è più vecchio di voi.
Che dite, vi sembra fin troppo ‘celodurista’ tutto questo? Vi sembra decisamente stantio e inutilmente retorico?
Sì, è vero: lo sembra. Non so se lo sia veramente.
Però è quello che attualmente appare: appare che la popolazione romana sia totalmente refrattaria al cambiamento, e che il lagnarsi ed il piangere miseria di mali (risolvibili) sia l’unica soluzione possibile.
ATAC offre un servizio pubblico mediocre, quando non inesistente, ed il romano che fa?
Quando ha l’opportunità di cambiare le cose, come con lo scorso referendum, si dilegua.
Se è questo che la maggioranza della popolazione vuole, questo ha ottenuto.
Eppure, io credo che ciò non sia totalmente attinente al vero.
Non lo credo non solo perché ho vissuto a Roma buona parte della mia vita, ma perché ho anche visto la disperazione dei romani tramutata nei voti di Gianni Alemanno e Virginia Raggi, ad esempio.
Il lassismo c’è, è indisponente e fagocitante, ma la scossa non si può dire che non sia arrivata: l’elezione dell’ultimo Sindaco del Movimento 5 Stelle è la massima espressione della frustrazione cittadina, che per una volta tanto ha dato una (mezza) spallata al lassismo.
Appunto, mezza: e manco troppo forte, però.
Sicuramente inutile, visti i disastri dell’amministrazione pentastellata.

Vi saluto, tante cose e un bacio ai pupi

Per evitare le solite puerili polemiche degli analfabeti funzionali: sono romano, figlio di romani (per quanto la cosa possa valere, poi).
Di più: sono trasteverino, nato proprio nel ‘core de Roma’.
Ho ricordi meravigliosi di questa città, che purtroppo però sono tutti solo ricordi.
E manco tanto recenti considerata, ahimé, la mia età non proprio giovanissima.
Due anni fa, prospettando un calo considerevole del fatturato aziendale unito a contingenze sia locali che di settore, ho cominciato a trasferire il mio business a Milano.
Città che, lo ripeto a costo di divenire ossessivo, ormai ha superato Roma in ogni campo: economico sicuramente, ma ormai anche sociale e culturale.
Rispetto ai ricordi che avevo di Milano quando la frequentavo da ragazzo, ho trovato un ambiente eccezionalmente propositivo, aperto ed incoraggiante.
Urbanisticamente può piacere o non piacere, e di certo nemmeno il milanese più campanilista oserebbe mai paragonare il centro di Milano a quello di Roma, Firenze o Venezia.
Ma è una città vivibile, pratica e funzionale.
Quartieri che io un tempo vedevo orripilanti come la Bovisa, Loreto o la Ghisolfa sono rifioriti del tutto, o stanno per rifiorire.
Come? Semplicemente portando un po’ di ordine e riqualificazione del territorio.
E senza neppure spendere molto, a ben vedere: in molti casi è bastato ordinare il traffico, impedire le soste selvagge, potare l’erba dei parchi e riportare il decoro urbano.
Certo, poi ci son stati gli investimenti pesanti, quelli grossi, come le nuove linee di metro; ma anche lì, la scelta è stata sostenuta da un progetto forte, portato avanti a prescindere dal partito politico al potere comunale.
Non c’è solo il caso - per quanto eclatante - di Isola o City Life: Milano ha usato saggiamente le risorse e le trasformazioni dell’EXPO in una grande occasione che non s’è fatta sfuggire per migliorare tutta la città.
Sì, esatto, come fece il povero Roberto Giachetti a Roma nel 2000, sotto la giunta Veltroni.
PIDDINOOOOOO, CORROTTOOOO!!!111” tra 3, 2, 1...
Pazienza: hanno provato ad insultarmi con parole ben peggiori.
Io me ne vado.
Io vado a portare la mia esperienza e la mia capacità di far ricchezza altrove, nell’unica città veramente europea d’Italia, che - tra le altre cose - con me e col mio lavoro non s’è mai dimostrata né fredda e né inospitale, anzi.
E se direte “E ‘sti caxxi?!” - e non ho dubbio alcuno che eviterete di farlo - sta bene, ma ricordatevi che, negli ultimi 10 anni, c’è stata una quantità enorme di persone come me, che hanno chiuso i battenti qui e se ne sono andati verso altri lidi, un pelo più sostenibili e un pelo anche più convenienti.
Quando rimarrete solamente con Bangla-Shop, con urtisti, con All-you-can-eat, con kebabbari e con parrucchieri, con centri commerciali enormi in cui vi delizierete a non potere spendere soldi che non avrete (perché non lavorerete), forse ‘i caxxi’ vi importeranno un poco di più.
La umana è breve, e passarla tutta a rodersi il fegato nell’impotenza è decisamente un qualcosa che lascio volentieri agli altri.
Mi auguro e vi auguro che da qui a poco tutti i problemi romani saranno risolti o comunque ridimensionati, e mi auguro e vi auguro di poter tornare in gita qui un giorno e dire: “Però, com’è cambiata Roma, che bello!”.
Dire ‘che bello’ sarebbe bello, in effetti.
Fino ad allora, scusate ma ho una pin-up vestita da coniglietta che mi aspetta in via Brera.
See you later, taaac!

Giorgio Fiorini
georgefiorini.eu

P.S.
A scanso di equivoci, per evitare il solito trollaggio degli analfabeti funzionali o dei galoppini di partito vorrei precisare che:

  • Non sono iscritto al PD né a nessun altro partito politico;
  • Non sono - purtroppo - finanziato da George Soros;
  • Eccezion fatta per un anno in cui ho svolto il ruolo di docente, non ho mai preso un euro di soldi pubblici, né tantomeno mi guadagno il pane con la politica;
  • Non ho piantato radici solo a Roma, e qualche grande città europea ed americana l’ho vista... E l’ho ben vissuta;
  • Di sveglie ne ho già imballate un paio per casa nuova, potete anche evitare di consigliarmene altre

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