22 settembre 2019

Riqualificazione della favela di Via Dei Lucani a San Lorenzo. Ecco perché è un imbroglio

Dovete assolutamente ascoltarlo tutto. Ma tutto, se avete a cuore la vostra città. Questo è il progetto urbanistico più "grande" e ambizioso che questa amministrazione di, ribadiamolo, #MALEDETTI, è stata capace di mettere sul piatto in oltre tre anni. Hanno distrutto il progetto Olimpiadi, hanno distrutto il progetto Tor di Valle, hanno di strutto il progetto Ex Torri dell'Eur e il progetto Ex Fiera. Ma per lo meno, direte voi, hanno provato con un bando e un avviso rivolto ad aziende e progettisti a riqualificare la sconfinata BIDONVILLE di San Lorenzo dove ha trovato la morte Desirée Mariottini.

Ebbene basta una sommaria analisi di meno di un quarto d'ora per spiegarvi come l'approccio alla riqualificazione di quell'area non solo sia vecchia, superata e ridicola, ma sia anche vittima di una tara ideologica assurda: non si possono fare case perché poi "qualcuno ce guadagna".


Il filmato spiega in maniera netta e incontrovertibile come quella riqualificazione sia, ancora una volta, fumo negli occhi per i cittadini: è matematica l'impossibilità che nulla si potrà fare e che quella porzione del quartiere di San Lorenzo rimarrà nel totale abbandono e nel degrado (e dunque nella totale insicurezza oltre che squallore) per sempre.

Un lotto immobiliare di un valore enorme, di fronte alla Ex Dogana dello Scalo San Lorenzo, a fianco di Porta Maggiore e vicinissimo a Stazione Termini e Università. Un appezzamento che potrebbe sprigionare un valore enorme, opportunità, riqualificazione urbana, posti di lavoro e qualità architettonica facendo lavorare maestranze, architetti, modellisti, impiantisti, professionisti, operai specializzanti oggi a casa divorati dalla disoccupazione. Un'area che invece verrà tenuta bloccata per garantire all'ideologia imbarazzante dell'assessore all'urbanistica Luca Montuori - e dei patetici gruppi di pressione di San Lorenzo che hanno fatto di tutto per evitare che l'operazione potesse essere sostenibile economicamente (se ci sono spazi abbandonati loro sono felici perché ci sono più spazi da occupare alla bisogna come hanno fatto in mezzo quartiere) - di potersi perpetrare all'infinito. Fino al collasso economico definitivo.


Per leggere e studiarsi tutte le fregnacce pentecatte pubblicate nell'avviso, il link è questo qui. Ma che voi siate tecnici oppure no sappiate una cosa: nessuna città si muove in questa maniera qui. Piantatevela di farvi imbrogliare da questi ciarlatani. Piantatevela.

7 settembre 2019

Lucha Y Siesta. Lo sgombero è giusto nonostante quello che ti stanno raccontando



Lucha y Siesta è uno dei tanti spazi occupati di Roma. Come tutti gli spazi occupati di Roma nasce e si sviluppa per due motivazioni essenziali: portare avanti la squallida ideologia di chi occupa e in parallelo erogare dei servizi sociali (residenzialità, cultura o altro) a persone terze. Con priorità variabili tra queste due istanze. 

Lucha y Siesta, in Via Lucio Sestio 10, è un edificio di proprietà di Atac che, abbandonato com'era, viene occupato nel marzo del 2008 da un gruppo di attiviste, tutte donne, appartenenti all'organizzazione Action (su cosa è Action chiunque può guglare liberamente). Nel sito ci sono scritte le motivazioni dell'occupazione. Tra queste spicca: "non possiamo permetterci un affitto di 1000 euro al mese". Fin qui siamo nell'ambito delle "normali", diciamo così, occupazioni romane: paraculaggine all'ennesima potenza mascherata da attivismo sociale e tutti quelli che si spaccano la schiena per pagare affitto e mutuo sono fessi mentre loro sono furbi. Ma a Roma si può. Qui però non ci si è limitati a questo e si è aggiunta una parte di servizi piuttosto avanzata: assistenza alle donne perseguitate e vittime di violenza. E in questo le attiviste di Lucha y Siesta si sono dimostrate particolarmente capaci, efficaci e competenti sotto molteplici punti di vista. Tanto che, pur essendo questo uno spazio occupato e addirittura privo di una responsabilità (le occupatrici sono totalmente anonime, non si sono mai dichiarate e sfuggono alle identificazioni da dieci anni), ci sono delle istituzioni che quando devono collocare donne utilizzano Lucha y Siesta come un'ufficiale casa rifugio. Ad oggi sono 23 i posti nelle case rifugio e semiautonomia del Comune, e altri 14 sono offerti da Lucha y Siesta dove ora come ora ci sono 14 donne ospitate, una metà hanno un bambino. 

Quando si è stati in qualche modo costretti a portare Atac in concordato preventivo per il tentativo di salvarla, questo immobile è ovviamente entrato nella partita. Vale oltre due milioni a quanto pare e dunque è fondamentale che venga valorizzato e venduto per contribuire alla salvezza finanziaria di quella derelitta azienda. 

Nonostante le attiviste sapessero da mesi di questa circostanza, invece di organizzarsi per tempo per un esito più sereno possibile (a vantaggio soprattutto delle donne ospitate) hanno deciso, come è stile di questi movimenti, di portare la situazione all'estremo, arrivare al distacco delle utenze ed alla minaccia di sgombero forzoso. In questi e in tanti episodi a seguire, le attiviste hanno così dimostrato di essere molto interessate al bene delle donne che ospitano, ma di essere ancor più interessate al loro bene, alla loro ideologia, alle loro patetiche questioni di principio. 

La tendenza è un po' quella di considerare le donne ospitate come loro proprietà, come ostaggio, come strumento per affermare il ruolo politico del centro sociale e il suo posizionamento territoriale a presidio. Nessuno purtroppo ha fatto presente alle attiviste che strumentalizzare le fragilità significa annullare qualsiasi elemento positivo del loro impegno sociale, significa fare esattamente - giusto per citare una realtà che le attiviste vedono come fumo negli occhi - come Casa Pound. Che quando fai presente che dovrebbe essere sgomberata ti rispondono che loro "danno casa a famiglie italiane con bambini che avrebbero diritto alla casa popolare". E dietro un presunto e non misurabile impegno sociale si nasconde qualsiasi illegalità e prepotenza, specie a danno del patrimonio pubblico. 

Arrivati a questo punto la situazione è grave e delicata visto che ci sono di mezzo persone in estrema difficoltà. Il Comune sta cercando in tutte le maniere di risolvere il problema e di ricollocare queste persone. In questa fase cosa ti fanno le attiviste? Aiutano e collaborano col Comune per far sì che la cosa si svolga nella maniera più serena possibile oppure continuano a strumentalizzare le donne in difficoltà muovendosi tra bugie e scorrettezze? Indovinate un po'...

Le menzogne sono già iniziate in realtà. Se le donne verrano - come è sacrosanto - spostate, le attiviste sono prontissime a dire che verranno "sradicate" dal territorio. Se qualcuno - come è sacrosanto - vorrà comprare l'edificio per dare ossigeno finanziario ad Atac si parlerà di una "svendita" e di una "speculazione". Addirittura stanno dicendo in giro - contando come fanno sempre questi gruppi sull'ignoranza e l'impreparazione degli ascoltatori - che esiste già un acquirente sebbene questo sia impensabile per le procedure tribunalizie che ancora sono distanti dalla eventuale messa all'asta dello stabile. Si ripete l'approccio solito dei movimenti romani: menzogne e bugie per suggestionare il popolino credulone. E sempre per suggestionare il popolino la conferenza stampa in cui le attiviste hanno presentato un crowdfunding per comprare loro l'edificio è stata anticipata da una spettacolare proiezione della scritta "VENDESI" sui più famosi monumenti della città. Come dire: "se si vende il nostro edificio allora è come se si vendesse il Pantheon". Nulla di più surreale. E anche se fosse, se parliamo di immobili venderli è molto meglio che rubarli e impossessarsene con la forza. 

Ma se esistevano le risorse per comprare uno stabile così grande e costoso (oltre due milioni il valore c0me dicevamo) perché le attiviste non hanno approntato un progetto legale fin da principio? Se volevano creare un'associazione e dare servizi alle donne in difficoltà perché non lo hanno fatto affittando uno spazio regolare e a norma? E magari pagando le utenze? Ci si domanda infatti in ben dieci anni di occupazione chi ha pagato luce, riscaldamento, acqua e gas da Lucha y Siesta. Si sono fatti allacci abusivi? Si sono attivate utenze regolamentari (a nome di chi?). Si sono sfruttate le utenze di Atac contribuendo per quota parte al fallimento della stessa? Un'altra questione da capire anche perché in presenza di un danno erariale di tale portata l'irresponsabilità delle attiviste rischia di farci andare di mezzo le povere donne maltrattate che sono le uniche persone identificabili nell'edificio visto che le attiviste faticano enormemente a pigliarsi la responsabilità di quanto fatto fino ad oggi. Il rischio è che queste povere donne, senza saperlo, si vedano accollato un debito enorme. Sarebbe la beffa delle beffe. 
La speranza è che il Tribunale, che comunque sta lavorando in questo senso, riesca quanto prima a identificare i nomi e cognomi a cui attribuire tutto: onori e soprattutto oneri di quanto avvenuto.