7 aprile 2022

C'era una volta, a Roma, il Museo del Risorgimento


Aveva un ingresso imponente su un lato del Vittoriano e la scritta "Museo del Risorgimento" sovrastava la grande porta. Fino a circa 15 anni fa era gratuito, si accedeva da questo bell'ingresso utilizzato anche per le mostre temporanee ed oltre al museo stesso si poteva visitare il sacrario delle bandiere. Ogni volta che se ne aveva voglia, si poteva entrare liberamente e respirare quella parte di storia così importante per l'Italia; ricordo di aver passato ore cercando di decifrare alcune lettere esposte, scritte con una forma ed una eleganza ormai perdute.

Ci sono poi tornata 4 o 5 anni fa, l'ingresso era stato spostato, era più defilato, ma pazienza. Si pagava un piccolo biglietto di € 5,00 che valeva già da solo le spiegazioni che uno degli addetti, un signore sui 55 anni, ti dava liberamente per passione.
Ho tentato di tornarci due settimane fa, ho girato attorno al Vittoriano per trovare l'ingresso e quando con sconforto ho capito che l'unico accesso era attraverso una porticina del cancello alla base della scalinata, mi sono fatta scoraggiare dalla lunga fila di turisti, a cui probabilmente del Museo del Risorgimento non interessava nulla, e me ne sono andata.
Ci sono tornata sabato scorso, il 2 aprile, certa che la pioggia ed il freddo non mi avrebbero fatto trovare fila, e così è stato.
Varco la porticina, salgo le scale seguendo un percorso obbligato nonostante l'immenso spazio. Un percorso obbligato che anziché disperdere chi entra, tiene tutti più vicini come se non ci fosse in corso una pandemia. 
Salgo la prima scalinata, poi ne salgo un'altra ed arrivo sulla terrazza dove c'è la statua equestre di Vittorio Emanuele II. Mi dirigo verso la porta alla base del propileo: chiusa. Che strano.
Attraverso la terrazza seguendo il percorso obbligato, sorpasso il bar e mi ritrovo alla biglietteria dell'ascensore. Chiedo ad un addetto dove posso trovare l'ingresso del Museo del Risorgimento, mi dice che quella è la biglietteria e che devo fare prima lì il biglietto. "Ma io non voglio prendere l'ascensore, voglio solo vedere il museo", dice che è la stessa biglietteria, poi controlla l'ora e mi comunica che sono le 11.25 e che alle 11.30 c'è il prossimo ingresso contingentato, altrimenti quello successivo sarebbe stato alle 14.30.
Mi metto in coda in mezzo ad almeno una ventina di persone ammucchiate che volevano per lo più salire sull'ascensore.
Alla biglietteria mi comunicano che il biglietto è integrato e che DEVO acquistare quindi l'ingresso anche per Palazzo Venezia e per l'ascensore panoramico: totale? € 12.

Entro alle 11.40 e chiudono il portone dietro di me. Inizio la visita lentamente, leggendo tutto dato che sono andata per approfondire alcuni aspetti del Risorgimento.
Dopo 10 minuti dal mio ingresso (h. 11.50), un'addetta Ales mi comunica che per mezzogiorno, massimo mezzogiorno e dieci devo uscire. Guardo il resto velocemente, senza poter leggere nemmeno tutte le didascalie più corte. L'addetta mi aspetta sulla porta, tenendola socchiusa perché aspetta che me ne vada. Prima di uscire le chiedo perché chiudano, di sabato, all'ora di pranzo.

Mi guarda perplessa ed inizia a dare risposte contrastanti e campate per aria.
Mi dice che devo uscire perché PROBABILMENTE deve entrare un gruppo. Le rispondo che gli ingressi contingentati servono a questo, a fare entrare le persone scaglionate e che man mano che le prime procedono le altre seguono, senza dover buttare fuori le persone. Le faccio inoltre notare che non mi si può chiedere di lasciare un museo dopo solo mezzora dal mio ingresso, non essendo orario di chiusura e che anzi, mancano più di 6 ore (sul sito del Museo del Risorgimento, si legge che è aperto "Tutti i giorni, ingresso con partenza ogni ora dalle 9.30 alle 18.30").
Rimarco sul fatto che ho speso dodici euro per comprare tre biglietti quando invece ne volevo solo uno, che non sono riuscita a vedere il museo e che nessuno non solo non mi ha avvertita che avevo solo mezzora per la visita (e che magari così ci avrei rinunciato) ma nemmeno mi spiega perché devo uscire.
La ragazza (Ales) si altera e con sguardo aggressivo quasi mi urla che probabilmente è perché sono pochi, apre la mano a raggiera e continua "Cinque. Le vede le dita??? Siamo solo in cinque". Io continuo a non capire perché me ne devo andare ma rendendomi conto che la conversazione non porta a nulla saluto e me ne vado.
Esco, scendo le scale e nel brutto gabbiotto di legno che hanno costruito di fianco alla porta e di fronte al busto del povero Ing. Sacconi, progettista del Vittoriano, rivolgo le stesse obiezioni e domande all'addetta Ales che se ne sta rintana là dentro.
La conversazione è stata più o meno come quella precedente, solo più strafottente.

Come si pensa di poter valorizzare così un museo di per sè sempre poco visitato?
A me personalmente è passata la voglia di tornarci.
SUSANNA CANTUCCI