"Non è vero che scrocchiamo l'affitto". Una lettera dalla Casa delle Donne

26 maggio 2018
Veramente giusto far conoscere la vicenda allucinante del Casale dei Cedrati a Villa Pamphili ma che dolore quei due accenni, quelle due pugnalate al femminismo romano e alla Casa internazionale delle donne. In un punto, a proposito della cooperativa del Casale, “donne non femministe, si badi bene”). Perché questa contrapposizione? Forse “femminista” è diventata una parolaccia? E nell’altro punto, “loro pagano l’affitto e ogni riferimento alla Casa delle donne non è casuale”. Viene da pensare che uno dei problemi di questa Roma che fa schifo deriva dal fatto che le realtà virtuose non si conoscono fra loro e, quindi, si passa per buona la calunnia che riguarda gli altri mentre si contesta quella in casa propria.
Venite, per favore, a via della Lungara 19, le porte sono aperte. Troverete tante attività in svolgimento, culturali e di assistenza, legale, psicologica, ginecologica. C’è la biblioteca e ci sono gli archivi del femminismo (sì del femminismo romano) e dell’UDI. E’ un complesso conventuale del Seicento, bello, con due giardini, proprio attaccato alle Mantellate (infatti nel passato era un luogo di contenzione di qui la forza simbolica di averlo affidato al movimento femminista e femminile e lesbico), nella parte restaurata ci sono stanze di lavoro e sale convegni, al centro un immobile basso dove è la caffetteria e ristorante self service, in un’ala c’è la foresteria, dedicata alle donne sole che pernottano a Roma. Il personale che tiene aperto l’intero complesso, dalle 9 per l’utenza, dalle 7 per chi lavora, è composto da 17 donne e ragazze regolarmente assunte con contratto a tempo indeterminato, alcune di loro hanno alle spalle brutte esperienze, o provengono da categorie svantaggiate.
Non è, come si cerca di far passare, un club di signore snob, sono più o meno 30.000 le donne che ogni anno vanno e utilizzano i servizi della casa. Le sale si affittano anche per convegni e iniziative esterne. Ma ci sono anche le iniziative legate al movimento delle donne, come il festival dell’editoria femminile che si è svolto quest’inverno, i seminari delle storiche e quelli delle scrittrici.
La cosa molto importante è che tutte queste attività e la manutenzione del complesso si autofinanziano, il bilancio 2016, già nei libri contabili, è in pareggio. L’altro giorno, mentre si svolgeva la conferenza stampa a cui ha partecipato Marcello Fonte, nel giardino i potatori lavoravano a potare le altissime palme, una spesa non da poco, come può testimoniare chi ne sa qualcosa.
E veniamo alla questione del canone. E’ stato il consorzio delle oltre trenta associazioni che gestiscono la casa a sollevare il tema presso le amministrazioni comunali che si sono succedute. Quasi 600.000 euro di affitto dovuto sono stati pagati.  Il punto è che vogliono ma non ce la fanno a pagare i circa 8000 euro al mese che furono stabiliti anni fa e non ce la farebbe nessuna realtà che svolge attività senza fini di lucro, sia pure perseguendo l’obiettivo della sostenibilità economico-finanziaria. Fu un errore firmare quel contratto e per questo si chiede una revisione. Con quali argomenti? Eccoli: 1) forniamo servizi culturali e di assistenza che sono un valore aggiunto per Roma. Non li mettiamo nella tabella del dare e avere perché è un’attività volontaria ed è il cuore, la ragione di fondo che sta alla base della convenzione con cui è nata la Casa internazionale delle donne. Ma questo non significa che quel valore aggiunto non si possa quantificare ed è quantificabile in circa 283.000. 2)Facciamo manutenzione ordinaria e straordinaria della Casa che sono obbligatorie senza distinzione nell’edificio storico (351.000 euro). 3)Le lungaggini burocratiche (ah come siamo solidali con il Casale dei Cedrati!) hanno comportato mancati guadagni. Per esempio i permessi per la foresteria, prevista fin dall’inizio nella Convenzione, nel 2003, sono arrivati solo nel 2008. Il Comune si era impegnato al restauro di una sala al piano terra. Ma il restauro non è stato fatto. Quella sala restaurata potrebbe essere affittata. I mancati guadagni sono calcolati in 100.000 euro per la foresteria e 100.000 per la sala.
Dunque, senza mettere nel conto i servizi a carattere volontario, lo sconto richiesto si aggira intorno ai 530.000 euro. La memoria che riporta queste cifre è stata consegnata 5 mesi fa a assessorati, uffici e consiglio comunale.
A fronte di tutto questo ci sono due soli atti ufficiali del Campidoglio: un avviso di pagamento, primo atto per lo sfratto, e la mozione a firma Gemma Guerrini. La mozione chiede alla giunta che il Campidoglio assuma il coordinamento del progetto e metta a bando i servizi. Ora, il Campidoglio può fare tutti i progetti che vuole, ovviamente, ma non può appropriarsi del marchio Casa internazionale delle donne, per due ragioni molto importanti, l’una legale, l’altra politica: perché è un marchio registrato alla Camera di commercio e perché la Casa internazionale delle donne è da 40 anni espressione dell’autonomia dei movimenti delle donne. Pensiamo che l’ostilità che si manifesta di questi tempi verso i soggetti che esprimono autonomia ma cercano anche, come facciamo noi, la collaborazione con le istituzioni, è una cosa che fa male a Roma.
Jolanda Bufalini

*Riceviamo e pubblichiamo con piacere questo bel testo di Jolanda Bufalini (che collabora in queste settimane anche con Giovanni Caudo, e che dunque si merita tutti i nostri in bocca al lupo per un felice esito delle elezioni del prossimo 10 giugno), tuttavia restiamo della nostra opinione. Siamo convintissimi che la Casa delle Donne eroghi servizi di qualità, non abbiamo alcun dubbio. Ma siamo altrettanto convinti che a Roma ci siano migliaia di altre realtà (una siamo perfino noialtri di Roma fa Schifo, figuratevi un po'!) che erogano servizi di eccellenza anche solo per puro scopo civico e che però per farlo pagano affitti di mercato, utenze, bollette e quant'altro. Dopodiché si può anche decidere che determinate realtà debbono stare in spazi pubblici senza pagare (ed è una decisione tostissima, da prendere assumendosene una enorme responsabilità perché a nostro avviso il bene pubblico va messo a reddito per poter ricavare i denari utili proprio a erogare quei servizi, senza che così siano delle associazioni private a doverle fare in sostituzione!), ma se lo si fa l'assegnazione deve avvenire dietro ad una regolare procedura ad evidenza pubblica. Dando a tutti quanti la stessa chance. Roma è piena zeppa di associazioni che non ce la fanno, che devono fare sacrifici atroci per pagare i fitti, che debbono chiudere perché nessuno "calcola la differenza" tra l'affitto che possono permettersi di pagare e l'affitto che invece gli viene richiesto. Ci sono decine di realtà che vorrebbero fare ristorazione ma la burocrazia glielo impedisce, ci sono altrettante realtà  - magari di qualità tanto quanto la Casa - che vorrebbero fare centro congressi ma le norme vessatorie che abbiamo glielo impediscono. Non è giusto secondo noi che qualcuno abbia una via preferenziale. La qualità dei servizi erogati non giustifica, non legittima, non può essere un salvacondotto per il semplice fatto che sono tanti a erogare la qualità e questa cosa non può essere riconosciuta solo a qualcuno sì e a qualcuno no in base a non si sa quale considerazione e valutazione.
Ci stupisce molto che chi sta dalla parte delle donne e lotta per le pari opportunità di tutti non lo capisca nel suo profondo.
-ROMA FA SCHIFO

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